Nuove varianti Omicron 4 e 5, Oms in allerta: possibile fuga immunitaria

L'attenzione degli esperti mondiali sulle due mutazioni. Ecdc: "Potrebbero avere impatto significativo su trasmissibilità, gravità e immunità" del Covid-19. Cosa dicono i virologi italiani

Test Covid-19 in laboratorio di ultima generazione

Test Covid-19 in laboratorio di ultima generazione

Roma, 13 aprile 2022 - L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sta dedicando particolare attenzione a due nuove varianti del virus Sars-Cov-2, responsabile del Covid-19. Si tratta per l'esattezza di due varianti di Omicron, battezzate Omicron 4 e Omicron 5. Al momento le due mutazioni (BA4 e BA5) sono state riscontrate solo in alcuni Paesi (per la prima volta in Sudafrica) e in numero esiguo, ma gli esperti stanno prendendo in considerazione seriamente il loro potenziale di contagio.

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Entrambe, sia Omicron 4 sia Omicron 5, "hanno ulteriori mutazioni (S:L452R e S:F486V) nella regione di Spike" di Sars-CoV-2, quella che il virus utilizza per agganciare le cellule bersaglio, nonché "mutazioni uniche al di fuori di Spike", si legge nel report Oms. Le mutazioni S:L452R e S:F486V sono associate a "potenziali caratteristiche di fuga immunitaria". Significa che il sistema immunitario, 'tarato' su Omicron 1 e 2 e 'allenato' con vaccini sviluppati su Delta, potrebbe non riconoscerli.  

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Dei rischi per la salute mondiale parla anche l'Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie): "Per queste varianti, sono disponibili prove sulle proprietà genomiche, epidemiologiche o in vitro che potrebbero implicare un impatto significativo sulla trasmissibilità, gravità e/o immunità; realisticamente potrebbero avere un impatto sulla situazione epidemiologica nell'Unione Europea o nello Spazio Economico Europeo". Al momento comunque, "le prove sono preliminari o associate a grande incertezza". 

La diffusione delle due varianti può essere facilmente monitorata perché "la maggioranza delle sequenze BA.4 e BA.5 presentano" la cosiddetta "delezione 69-70", scrive l'Oms, che è "in gran parte non presente nelle sequenze BA.2" e quindi "può rivelarsi utile ai fini della sorveglianza in un contesto in cui BA.2 è dominante". Omicron 2, infatti, rappresenta ormai "il 99,2% delle sequenze caricate sulla piattaforma Gisaid negli ultimi 30 giorni". L'agenzia ginevrina "sta lavorando con gli scienziati per valutare ulteriormente le caratteristiche" di queste sottovarianti "e le loro implicazioni sulla salute pubblica". Quindi il consiglio per il Paesi è di "sorvegliare" e condividere rapidamente i dati.

Le due varianti erano state inserite nei giorni scorsi anche nei monitoraggi anche della UK Health Security Agency. Secondo i dati dell'agenzia britannica al 25 marzo la variante BA.4 era stata identificata in Sudafrica (41 casi), Danimarca (3), Botswana (2), Inghilterra (1) e Scozia (1). Della variante BA.5 sono stati isolati invece 27 campioni, tutti in Sudafrica.

Da Bassetti a Pregliasco: cosa dicono i virologi italiani 

Gli esperti italiani concordano sulla necessità di gestire con cautela le notizie relative alle due nuove sottovarianti. Perentorio Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, che lancia una stoccata all'Oms: "Finiamola con questo terrorismo delle varianti, finiamola col diffondere informazioni che devono riguardare il mondo scientifico e invece arrivano alle persone prima che agli scienziati". Informazioni "che andrebbero prima vagliate e discusse nella comunità scientifica e non buttate in pasto alle persone che non hanno i mezzi per comprenderle bene. Io non mi preoccupo ora delle varianti come non l'ho fatto prima: le varianti ci hanno insegnato che non sono più aggressive, ma più contagiose e poi queste sono sottovarianti di Omicron". Anche per il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all'università Statale di Milano, non bisogna "fasciarsi la testa prima di cadere". 

Omicron 4 e 5 sono "sotto osservazione soprattutto per valutare la loro capacità di sfuggire alle difese immunitarie che si sono dimostrate efficaci contro le precedenti varianti", spiega l'epidemiologo Pier Luigi Lopalco, docente di igiene all'Università del Salento "Questo fenomeno, definito immune-escape, permette ai ceppi di virus mutati di infettare persone che sono state vaccinate o precedentemente infettate da altri ceppi virali". Ma "non necessariamente produce forme di malattia intrinsecamente più gravi". 

Sulla stessa linea Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano: "Certamente tutte le mutazioni che avvengono a livello della proteina Spike" del coronavirus pandemico, come quelle che BA.4 e BA.5 presentano, "ci fanno temere una minore efficacia dei vaccini che potrebbero non riconoscerle". Ma è ancora tutto da verificare e inoltre "si stanno preparando vaccini anti-Covid aggiornati, che ci auguriamo tengano conto di queste nuove mutazioni".