Mercoledì 24 Aprile 2024

Morta dopo il parto, 12 medici sotto inchiesta. "Tutti obiettori? Agimmo bene"

Catania, il padre della vittima: rifiutarono di intervenire sui feti sofferenti

Valentina Milluzzo insieme al marito Francesco Castro in una foto da Facebook (Ansa)

Valentina Milluzzo insieme al marito Francesco Castro in una foto da Facebook (Ansa)

Napoli, 21 ottobre 2016 - Ci sono molti angoli bui nella morte di Valentina Milluzzo e dei suoi due gemellini. Per avere un po’ di luce bisognerà aspettare le conclusioni delle tre inchieste in corso: quella della procura di Catania, che ha iscritto nel registro degli indagati 12 medici dell’ospedale Cannizzaro di Catania (eccetto il primario, Paolo Scollo, e l’assistente Emilio Lomeo, entrambi assenti) con l’accusa di omicidio plurimo colposo; quella del ministro della Salute, Lorenzin, che ha inviato una task force di ispettori (due di Agenas, uno del Nas, uno delle Regioni e due del Ministero); in parallelo c’è l’inchiesta interna avviata dal nosocomio etneo. Sulla morte della mamma di Palagonia – 32 anni, impiegata di banca, alla prima gravidanza, frutto di fecondazione assistita – e dei gemellini che portava in grembo c’è al momento solo una schermaglia a distanza. Da una parte la denuncia della famiglia – il marito Francesco Castro e i genitori della donna – che chiedono di verificare se «ci sono state negligenze, imprudenze o imperizie dei sanitari» e ha presentato in procura un esposto sospettando un ritardo perché il medico di turno si è dichiarato obiettore di coscienza. Dall’altra, la difesa dei vertici dell’ospedale e del reparto di ostetricia che smentiscono un nesso tra la morte di Valentina e l’obiezione.

Secondo quanto riferisce il primario, alle 23.30 di sabato 15 ottobre avviene un primo parto spontaneo. Vista la gravità della situazione il ginecologo induce all’1,40 con l’ossitocina anche il secondo parto, un parto abortivo. «L’obiezione di coscienza? I fatti dimostrano il contrario: il medico ha indotto il secondo aborto con l’ossitocina e ha fatto quello che andava fatto, non capisco da che cosa nasca tutta questa enfatizzazione sull’obiezione di coscienza. Non trasformiamo un dramma in sensazionalismo». A dargli man forte arriva il direttore generale del Cannizzaro, Angelo Pellicanò: «Non risulta assolutamente che il medico si sia dichiarato obiettore di coscienza, in quella sede e con i familiari di Valentina Milluzzo. Perché loro hanno detto così? Dovete chiederlo a loro».

La risposta arriva a stretto giro. «Quando io e mio genero – dice Salvatore Milluzzo, padre di Valentina – abbiamo chiesto di procedere, il medico ha detto che, essendo lui un obiettore di coscienza, una volta che i cuoricini dei bambini battevano, non poteva procedere». «Chiediamo giustizia. Noi non vogliamo puntare il dito contro nessuno, ma vogliamo che altre donne non muoiano di parto come Valentina». Le inchieste dovranno spiegare perché una paziente, ricoverata dal 29 settembre (gravidanza con la procreazione assistita e minaccia di doppio parto abortivo), sia deceduta 17 giorni dopo a causa di una violenta infezione. Hanno fatto davvero tutto in quel reparto per salvare la vita a Valentina e almeno a uno dei suoi i bambini?

Interrogativi intorno a cui ruota il fascicolo del pm Fabio Saponara che fa, infatti, trapelare come la sua attenzione investigativa sia concentrata non sull’obiezione di coscienza dell’intero reparto, ma su altro. Ovvero sulla verifica, attraverso la cartella clinica, dei protocolli d’intervento e assistenza prestata alla paziente, oltre che ai controlli ai quali è stata sottoposta durante il ricovero e, in particolare, durante la crisi che ha preceduto il decesso. «L’iscrizione dei 12 medici – aggiunge il procuratore Carmelo Zuccaro – è atto dovuto, per fare eseguire l’autopsia come incidente probatorio. E non perché tutti e dodici siano obiettori di coscienza. Quello – sottolinea Zuccaro - è un falso problema».