Money transfer, rischio Isis. Dall'Italia 5 miliardi l'anno

"Difficile controllare chi riceve i soldi". Le filiali con sede estera non sono obbligati a segnalare movimenti sospetti

Money transfer (Ansa)

Money transfer (Ansa)

Roma, 20 ottobre 2016 - Nei primi tre mesi del 2016 dall’Italia sono stati inviati in Bangladesh ben 112 milioni di euro; lo scorso anno sono stati in tutto 435. Il paese asiatico dove si è svolto il più grosso attentato terroristico contro italiani – sono stati 9 i connazionali uccisi in un ristorante di Dacca – è attualmente il secondo Stato, dopo la Romania, per le rimesse di denaro che arrivano dal nostro Paese. Ma ai primi posti della classifica, secondo i dati della Banca d’Italia, ci sono anche altri paesi ad alto rischio terrorismo, come il Pakistan, dove nel primo trimestre di quest’anno sono stati inviati oltre 43 milioni di euro, mentre lo scorso anno, in tutto, ne sono arrivati 166.

Numeri che fanno impressione se si pensa che questi trasferimenti di capitali non avvengono tramite conti correnti intestati e rintracciabili, ma attraverso i money transfer, sportelli che si trovano ormai in tutte le città, spesso collegati a internet point o a negozi di telefonia, ma presenti anche in negozi etnici di ogni tipo. Le regole italiane prevedono che non sia possibile per uno stesso utente inviare più di mille euro a settimana verso un paese estero. In realtà, attraverso frazionamento delle cifre e utilizzo di prestanome o documenti falsi, la legge può essere aggirata.

“L’attuale quadro normativo non favorisce una adeguata conoscenza su tutti gli operatori del comparto e, in particolare quelli esteri, che costituiscono la gran parte del mercato”, ha spiegato alla Commissione finanza della Camera, Claudio Clemente, direttore dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (Uif), che ha il compito di monitorare il fenomeno. Nella sua relazione – intitolata appunto “Money trasfer e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo” – traccia un quadro a tinte fosche sul sistema di invio del denaro all’estero, sottolineando che “carenti sono risultati anche i presidi di prevenzione del finanziamento al terrorismo”.

E questo perché il sistema dei money transfer ha vuoti normativi. Il primo importante problema riguarda la mancanza di armonizzazione della legge nei paesi dell’Unione europea. Le prescrizioni italiane sono più stringenti di quelle estere per cui “molti operatori italiani sono stati sostituti da Ip (istituti di pagamento) e Imel (istituti di moneta elettronica) con sede in altri Paesi, per lo più anglosassoni; molti agenti sono diventati mandatari di intermediari comunitari”, precisa Clemente. Attualmente, infatti, nel nostro Paese il servizio di money transfer è eseguito da soli 9 Ip italiani, con circa mille agenti, contro gli oltre 270 esteri con oltre 12mila agenti. A questi si aggiungono anche 4 Imel italiani e 83 esteri di cui 31 con l’intenzione di svolgere rimessa di denaro.

Un altro punto debole del sistema è la mancanza di dati certi. Secondo la Banca d’Italia, nel 2015 le rimesse all’estero sono arrivate a 5,255 miliardi; nei primi tre mesi del 2016 sono già stati inviati 1,25 miliardi. Ma si tratta di un dato parziale perché al calcolo, spiega Clemente nella sua relazione, “contribuiscono gli intermediari nazionali e i principali intermediari comunitari, questi ultimi su base volontaria”. Quindi, se un intermediario estero decide di non comunicare i dati è libero di farlo, senza incorrere in alcuna sanzione. Per cui esiste tutta una movimentazione di denaro che sfugge al monitoraggio. Ne è un esempio il caso della Cina. Dai dati della Banca d’Italia si è notato un drastico ridimensionamento delle rimesse, da 2,6 miliardi del 2012 a 557 milioni del 2015, a fronte di una popolazione di immigrati sostanzialmente stabile.

Colpa della crisi? Per niente. Gli accertamenti hanno permesso di scoprire che la “differenza riscontrata – precisa il direttore Uif – dipendeva dalla migrazione di numerosi agenti verso Ip comunitari che sono risultati meno attenti al profilo dei controlli e che non hanno contribuito alla rilevazione statistica dei dati”. Mancanza di dati che, quindi, potrebbero verificarsi anche per quanto riguarda paesi a rischio terrorismo. Il sistema di controllo della Uif e quello della guardia di finanza permettono di individuare movimenti poco chiari, soprattutto quelli che riguardano i frazionamenti delle cifre; gli stessi operatori nel settore dei money trasfer sono poi tenute a inviare segnalazioni di operazioni sospette, che vengono prodotte in automatico dal sistema.

Nel 2015 ne sono partite oltre 2.200 che hanno coinvolto oltre 210mila singole operazioni eseguite da 30mila nominativi. Molte sono risultati falsi allarmi, ma 429 sono state ritenute meritevoli di approfondimento da parte del Gruppo investigativo sul finanziamento al terrorismo (Gift) della guardia di finanza. Solo quest’anno sono state sviluppate 696 segnalazioni: dodici fascicoli sono stati aperti per reati collegati al terrorismo. Tuttavia dalla maglia dei controlli qualcosa può sfuggire. Sono, infatti, state individuate “operazioni occasionali, originariamente non individuate come sospette – spiega Clemente – eseguite da clienti risultati poi coinvolti in vicende di terrorismo”. Sempre più impellente per contrastare efficacemente il finanziamento a gruppi estremisti è, quindi, la necessità di armonizzare la normativa europea riguardo ai money transfer, che si sono già rivelati strumenti pericoloso per alimentare il terrorismo internazionale.