Ladro ucciso, ira del vescovo: "Capisco chi reagisce ai banditi"

Monsignor Tessarollo (Chioggia) sulla legittima difesa: "Uccidere è male ma comprendo chi si tutela dalle aggressioni"

Monsignor Tessarollo, vescovo di Chioggia

Monsignor Tessarollo, vescovo di Chioggia

Chioggia (Venezia), 15 marzo 2017 - Eccellenza, il tabaccaio padovano che sparò e uccise un bandito scoperto a rubare nel suo negozio, dopo la condanna in primo grado l’anno scorso, l’altro giorno è stato assolto in appello. Niente carcere e via anche il maxi risarcimento ai familiari del morto. Giustizia è fatta?

"Non userei questa formula altrimenti sembra che uccidere vada bene... Direi piuttosto che è stato compreso il contesto in cui è avvenuto il fatto: nel buio, una volta scovato un ladro a rubare nel proprio negozio, con la preoccupazione di proteggere la famiglia. Dietro il comportamento del commerciante ci sono il lavoro di un’esistenza, la professione, le prospettive, un complesso di cause che spingono a una reazione che non è quella di togliere la vita punto e basta. La Corte d’appello di Venezia non ha giustificato l’uccidere in ogni caso, quando ci si trova in una situazione di pericolo. Ha tenuto conto, invece, di una serie di fattori alla base di una determinata reazione che non sempre vanno definiti quale volontà di ammazzare indiscriminatamente". Tira un sospiro di sollievo monsignor Adriano Tessarollo, vescovo di Chioggia. Dell’assoluzione di Franco Birolo il presule ha da poco parlato al telefono con la moglie dell’uomo in un clima ben più sereno rispetto a quello successivo al verdetto di primo grado che condannò il tabaccaio a 2 anni e 8 mesi, più un risarcimento danni di oltre 300mila euro ai familiari del moldavo ucciso.

Allora lei prese carta e penna e sul settimanale diocesano di Chioggia pubblicò un articolo al vetriolo, anche pensando al suo ruolo ecclesiale, a difesa del commerciante.

"Le sentenze creano un’opinione. Se, da una parte, c’è il pericolo che un verdetto dica ‘va bene, via libera alla licenza di uccidere’, dall’altra, le pronunce di condanna in casi simili, e sono quelle più in voga, sembrano autorizzare a rubare, quasi che i malviventi abbiano sempre ragione. Non tengono conto di che cosa vive una persona che spara a un ladro entrato in casa sua o nel suo negozio".

Da uomo di Chiesa, non pensa che spetti allo Stato difendere i cittadini?

"D’accordo, ma quando è che arriva lo Stato? Quando è già avvenuto tutto e poi alla fine non ti tutela su niente... Ci siamo dimenticati del ‘vitalizio’ di mille euro al mese per oltre 27 anni disposto in primo grado a vantaggio della madre e della sorella del bandito?".

No, non ci siamo scordati. Lei a riguardo parlò di risarcimento per "un incidente sul lavoro". Un’ironia pungente di cui si è pentito?

"Ribadisco quell’espressione, perché nel Veneto ci sono bande che tranquillamente assaltano ville, famiglie, rubano il rame dalle ferrovie e dagli impianti. Ritengono che sia questo il loro modo di guadagnarsi la vita. Poi qualche volta capita che, facendo il loro ‘lavoro’, si verifichi qualche incidente".

Non pensa che lo Stato dovrebbe incentivare una politica di vera integrazione degli immigrati, magari diminuirebbe anche il numero di rapine?

"Star dietro a questo tipo di politiche richiede un forte impegno. Servono mezzi, personale, sostegno. Qui non sto ad accusare lo Stato. Certo che, accettando tutti nel nostro Paese, mi chiedo: abbiamo davvero il necessario per portare avanti un’integrazione che già di per sé non è facilissima? Non è che una persona cresciuta fino a 40 anni in uno Stato diverso dal nostro in un certo modo cambia atteggiamento dall’oggi al domani".

Meglio lasciar perdere in partenza?

"Non voglio dire ciò. Anzi dobbiamo impegnarci tutti per l’integrazione, ma è un lavoro lungo e complicato".