Covid, il virologo: pandemia verso la fine. "A ottobre sarà simile a un’influenza"

Clementi e il modello Islanda. "Se procediamo forte con le vaccinazioni, il numero dei contagi non avrà più senso"

Campagna di vaccinazione

Campagna di vaccinazione

La convivenza col Covid non solo è possibile, è già realtà. Almeno in Islanda, il paese con il più alto numero di vaccinati al mondo (oltre il 90% ha ricevuto la prima dose), dove alla recente impennata di nuovi casi – a causa della Delta, dal 13 luglio al 5 agosto, il totale degli infettati è passato da 6.675 a 8.793 – non ha fatto seguito un significativo incremento delle ospedalizzazioni (appena 18 le attuali), né tantomeno dei decessi (un solo morto da gennaio sui 30 complessivi). Ma le buone notizie non finiscono qui, se è vero che sull’isola degli attualmente positivi nessuno versa in gravi condizioni. "Sono numeri da infezione endemica che noi raggiungeremo tra settembre e ottobre, salvo l’insorgere di una nuova variante e sempre che sia toccata una copertura vaccinale oltre l’80%", mette le mani avanti Massimo Clementi, ordinario di Microbiologia e Virologia al San Raffaele di Milano.

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Professore, significa che allora potremo gestire il Covid come un’influenza?

"Attenzione a non confondere le due infezioni, la maggior gravità della prima l’abbiamo vista in questo anno e mezzo. Certo è che dobbiamo mettere in conto un periodo in cui dovremo convivere con questo virus. A riguardo, per settembre l’Aifa ha previsto una terza dose per i più fragili, io stesso sono pronto a una nuova iniezione per il personale sanitario. In prospettiva poi avremo un richiamo all’anno come per l’infuenza fino a quando il Sars-Cov2 non sarà debellato".

Bollettino Coronavirus dell'11 agosto

La quarta ondata ha visto nella prima settimana di agosto una crescita dei nuovi positivi pari all’8% rispetto al 26% dei sette giorni precedenti: considerando anche le cifre non da capogiro delle infezioni giornaliere, è tempo di contare solo i ricoverati e i decessi?

"Questa non è una decisione scientifica, ma politica e la politica. Da parte mia dico solo che oggi effettivamente contano l’andamento delle ospedalizzazioni e la curva delle vittime, non altro".

Passando all’estero, che cosa ci insegna l’esperienza dell’Islanda?

"La giusta equazione sulla forza e l’efficacia della profilassi: più vaccinati uguale meno malati gravi. Bisogna distinguere bene tra infezione e malattia anche perché sul punto la retorica No Vax, dettata da una reale ignoranza oppure da una lucida ideologia, ci marcia. Il vaccino riduce già con una prima somministrazione, di più con il ciclo completato, il rischio di contagiarsi, ma non lo annulla. Impedisce, invece, che uno si ammali in maniera seria. Anche in Islanda il virus sta continuando a circolare in virtù di quel 30-25% della popolazione che o non ha ricevuto nessuna iniezione o comunque non ha completato l’iter".

L'ultimo monitoraggio dell'Iss

Questo significa che si rischia l’insorgere di nuove varianti?

"È chiaro che l’auspicio sarebbe quello di avere il 100% dei cittadini immunizzato, ma evidentemente non è possibile. D’altra parte, però, se non possiamo ad oggi escludere l’emergere di ulteriori ceppi, è anche vero che il virus non può continuare a mutare all’infinito. Il nostro compito è ridurre la cerchia di popolazione non protetta".

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In Italia viaggiamo al 64% di over 12 immunizzati. Con la variante Delta basta l’80% per l’immunità di gregge?

"Bisognerà andare oltre quella cifra, fermo restando che noi stiamo procedendo meglio di altri Paesi. Un appunto lo farei sui ragazzini: mi sarei aspettato dalle istituzioni un maggior richiamo all’importanza della profilassi per questa fascia che è la più a rischio diffusione dei contagi".

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