Giro di vite sul gioco? Il governo ha perso la scommessa

L’annuncio di Renzi: "Taglierò le macchinette". Ma è rimasto lettera morta

Slot machine

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NELLA GUERRA santa alle slot machine l’ex premier Matteo Renzi s’era piazzato in prima linea sin dagli albori del suo governo. Efficace nei talk show, decisionista, andava giù duro pur di sottoporre il mondo del gaming ad una cura dimagrante senza precedenti. Sapete che si fa? Le spazzo via da tabaccherie ed esercizi commerciali, le slot, le taglio pure del 30 per cento e mica mi fermo qui, è la sintesi del Renzi-pensiero, che approda anche in Stabilità. E i sindaci e le Regioni che, come in un vecchio sistema feudale si fanno in casa leggi e regolamenti per arginare il gioco? Tranquilli, ci pensa il governo.L’idea è un testo unico Stato-Regioni per stabilire, una volta per tutte, orari di apertura delle sale gioco, distanze dai luoghi sensibili e non solo. Efficace e molto renziano no? Peccato che fin qui, di tutto questo si sia visto pochino. Anzi no, qualcosa è andato a regime, eccome. Il governo Renzi, se da una parte dichiarava guerra alle slot, dall’altra ne innalzava il prelievo erariale dal 13% al 17,5%. Impennata record, mai vista prima, perché se c’è bisogno di soldi non si va per il sottile. Danaro fresco, tanto e subito: 3,8 miliardi allo Stato dalle slot nel 2016, 1,3 dalle Videolottery, in totale ben oltre la metà dei 9,3 miliardi di euro incassati dallo Stato nel 2016 dai giochi pubblici. Com’è che la chiamano? Tipica contraddizione all’italiana? Sì, perché Renzi diceva di voler cancellare le slot dai bar e negozi, poi però è proprio con le slot che ha fatto cassa. Non un esempio di coerenza, in effetti.  

Roma, 5 marzo 2017 - L’ANNUNCIO è di quelli da far tremare i polsi a un’intera industria. «Sul gioco d’azzardo stiamo per mettere a punto una misura per togliere le slot dalle tabaccherie e gli esercizi commerciali». Bum. Così Matteo Renzi nel settembre 2016. Il premier, con piglio da Savonarola, ufficializza al mondo la crociata contro le slot machine. «Renzi dice che le toglierà. Ci auguriamo che il suo non sia l’ennesimo annuncio», scrive su Facebook la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Le truppe anti-slot si danno pacche sulle spalle in un tripudio molto made in Pd. Pare quasi di vederlo, Renzi, con un piccone in tabaccheria. Cento giorni dopo il proclama renziano con l’entrata in vigore della legge di Bilancio – oltre al taglio del 30% delle slot in funzione nel Paese entro il 2019 – scatta l’aumento del preu (Prelievo erariale unico) proprio sulle macchinette. L’imposta schizza dal 13% al 17,5%, mentre per le sorelline maggiori – e maggiorate per le tipologie di vincita – le videolottery, l’aumento è lieve: dal 5% al 5,5%.Un rincaro senza precedenti per le slot che appare come un vero e proprio colpo di maglio ai signori del gioco. Se l’Italia non fosse la Repubblica delle Tasse, qualcuno ci avrebbe anche creduto alla misura ispirata da nobile motivi.    LA REALTÀ, però, è ben altra. La recente storia del Paese, governo dopo governo, ci porta sempre allo stesso punto: i soldi. Non c’è un esecutivo che dai giochi non abbia attinto a piene mani, magari marciando contro a parole, per poi fare dietrofront quando c’era da far cassa. Un esempio su tutti: il Decreto Abruzzo del 2009, che stanzia 8,5 miliardi per la ricostruzione del dopo terremoto, apre il sipario per nuove tipologie di giochi che, alla fine, porteranno oltre tre miliardi di euro. Per la politica, il gioco legale è un bancomat sempre in funzione. Quando Enrico Letta termina il mandato e lascia il posto, nel febbraio 2014, a Matteo Renzi, l’interesse sul mondo del gaming va subito in temperatura: da una parte la bacchetta, dall’altra la calcolatrice. Per fare soldi, va in onda la sanatoria per i punti scommesse non autorizzati, la gara del lotto anticipata al 2015, una poco chiara tassa una tantum da 500 milioni per la filiera slot e l’incipriata etica, con la creazione del fondo da 50 milioni da destinare alla cura del gioco d’azzardo. Nel 2015, sale al 13% il prelievo sulle slot; l’extratassa da 500 milioni però è un mezzo flop: la misura è mal concepita e non si capisce bene chi e in che misura debba pagare quei soldi tra concessionari, gestori, esercenti. Alla fine arrivano 340 milioni. 

COME lo tappiamo il buco da 160 milioni? Col salto triplo del preu per le slot, fino al 17,5%, così da avere un gettito extra di oltre 670 milioni, secondo l’agenzia Agipronews, oltre alle varie misure che coinvolgono, tra gli altri, scommesse, bingo e gioco online. E si arriva all’anno scorso. Il 2016 doveva essere quello del Grande riordino del mondo del gioco. A giugno scadeva il bando di gara delle scommesse, che doveva assegnare 15mila licenze e oltre 210 sale bingo, un’operazione da circa mezzo miliardo per l’erario. Ma un ostacolo si rivelerà insormontabile: i bandi di gara, infatti, potevano essere emanati solo dopo l’accordo Stato-enti locali in sede di Conferenza unificata. Accordo per il quale era fissata una dead line: 30 aprile 2016, data entro la quale si dovevano definire «le caratteristiche dei punti vendita, i criteri per la loro distribuzione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, ordine pubblico e pubblica fede dei giocatori e prevenire il rischio d’accesso dei minori», spiegava la legge di Bilancio. Siamo al marzo 2017 e il traguardo non si vede, nonostante l’instancabile lavoro del sottosegretario Pier Paolo Baretta, cui tocca la patata bollente. Anzi, la slot bollente. Il terreno di scontro o di mancato incontro, in un Paese che si riscopre feudale, è proprio sulle macchine da gioco. Comuni e Regioni, per frenare e auto-regolamentarne accesso e distanze – 500 metri dai luoghi sensibili come chiese e scuole, così come previsto dalle norme – vanno avanti con il ‘fai da te’. Ognuno si scrive il proprio editto e la situazione si blocca. 

UN ASSIST non da poco per chi vende gioco non regolamento nel nostro Paese, se non addirittura illegale e clandestino. A tutt’oggi, l’accordo tra enti locali e Stato sul riordino dei giochi ancora non c’è, anche se è stato sfiorato il 2 febbraio scorso. È saltato, tra l’altro, perché il governatore della Puglia Michele Emiliano s’è detto dubbioso sull’intesa: «Abbiamo chiesto delle modifiche – dirà – se non arrivano l’intesa potrebbe saltare». Nel frattempo, il governo Renzi ha stabilito un record straordinario: dai giochi all’erario, arrivano 9 miliardi e 269 milioni – quasi 5,2 da slot e videolottery – a fronte dei circa otto degli anni precedenti. Niente male per chi voleva togliere le slot da bar e negozi.