Venerdì 19 Aprile 2024

Dottoressa violentata, l'ira della collega: "Ministra, qui ci scappa il morto"

Replica alla lettera della Lorenzin: guardia medica, sicurezza ridicola

Donne, manifestazione contro la violenza

Donne, manifestazione contro la violenza

Catania, 22 novembre 2017 - «Quella lettera della ministra Lorenzin l’ho letta e riletta. E sono arrabbiata per le inesattezze che contiene e per mancanza di responsabilità che traspare in ogni riga. La Lorenzin avrebbe dovuto chiamare Serafina il giorno dopo la violenza e scusarsi con lei, non solo come suo ‘datore di lavoro’ ma anche a nome dell’Italia. E, invece, si fa viva, due mesi dopo, con una missiva offensiva».

Maria Francesca Falcone, 53 anni, ha quasi trent’anni di professione alle spalle (si è laureata in Medicina e Chirurgia nel 1988), e da molti anni svolge il ruolo di guardia medica, «un po’ per passione e un po’ per necessità», spiega. Lavora a Vizzini, nella stessa Asp in cui opera Serafina Strano, la dottoressa violentata da un criminale il 19 settembre durante il servizio notturno nell’ambulatorio di Trecastagni, e ne è amica.

Dottoressa Falcone perché la lettera della Lorenzin le procura tanta irritazione? «Contiene dichiarazioni non vere e paradossali».

Partiamo dalle cose non vere. «Lei scrive: è emerso, dall’ispezione, che nella guardia medica di Trecastagni erano installati tutti i dispositivi di sicurezza, grate alle finestre e alla porta d’ingresso di tipo blindato, sistema di telecamere a circuito chiuso e videocitofono, telefono collegato al servizio di 118 e alle forze dell’ordine, braccialetto per le chiamate di emergenza».

Se gli ispettori lo hanno scritto, sarà vero. «Guardi, partiamo dall’inizio. Anzitutto l’installazione, di quelli che la ministra chiama ‘dispositivi di sicurezza’, erano previsti da un decreto del 2010. Ebbene, solo un anno fa sono stati installati in molte delle 59 guardie mediche siciliane, e neanche in tutte. In questi sei anni, cosa ha fatto il ministero della Sanità? Ha mai chiesto alle Asp se avessero garantito la sicurezza del personale in questi ambienti che sono terra di nessuno? E poi, porte blindate, videocitofono e braccialetto: ne vogliamo parlare?».

Parliamone. «Le porte blindate hanno ridotto i nostri uffici a gabbie: una volta entrato il malintenzionato, noi non possiamo più scappare. Il videocitofono spesso non c’è e quando c’è guarda nei corridoi».

E il braccialetto per le chiamate di emergenze? «È la cosa più comica, se non fosse tragica. È un pulsantino collegato al telefono fisso della guardia medica, pensi non c’è neppure un gps. Ammettendo che tu riesca a scappare dal bruto che intende violentarti e che ti tiene le mani strette alla gola, quando premi il pulsantino si attiva il telefono collegato a un allarme. Se l’intruso ha strappato i fili, come succede nella stragrande maggioranza dei casi, l’allarme rimane muto e noi restiamo in balia dell’aggressore».

Parliamo, invece, delle cose paradossali. «La ministra scrive che gli ispettori del ministero hanno accertato che la guardia medica di Trecastagni non aveva i requisiti previsti dalla legge. Ebbene questa è la dimostrazione che siamo costretti a lavorare in strutture fuorilegge. Non mi risulta, poi, che in questi due mesi, Lorenzin o la Regione, abbiano chiuso ambienti tanto fatiscenti e insicuri». 

Cosa si aspettava dalla Lorenzin? «Un decreto per le guardie mediche come è stato per i vaccini. Ma non l’ha fatto, demandando la responsabilità a Regione o Prefettura».

Nel concreto cosa chiede? «Guardie armate che stanno accanto a noi nella guardia medica e quando andiamo a visitare a domicilio i pazienti. Se ministero e Regione non sono in grado di garantirci questo, si metta fine al servizio. Prima dell’aggressione a Serafina ce n’era stata un’altra, gravissima, a Nicolosi. Ora che si fa, si aspetta la terza vittima o, addirittura, che ci scappi il morto? Siamo l’unica categoria di statali che svolge un lavoro notturno, pericoloso e in completa solitudine».