Giovedì 18 Aprile 2024

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ROMA

«COME mi sento? Normale. Ho già ripreso l’attività, vendo prodotti da forno fatti da me e quindi la notte lavoro. Mi sono riposato un po’ dopo pranzo, adesso vado avanti fino a stasera».

Giovanni, lo chiameremo così, «non voglio dire chi sono», dice prima di iniziare a raccontare la sua storia, ha 56 anni, vive in provincia di Vicenza, e parla con un tono di voce pacato.

Perché ha deciso di donare un rene?

«Vedevo che uno dei miei clienti, tra l’altro amico di mio fratello, era di una magrezza impressionante ed era più il tempo che stava a casa che quello in cui lavorava. Allora mi sono informato e ho scoperto che era in dialisi da anni. Insomma, mi sono chiesto perché mai non avrei potuto fare qualcosa per lui».

E il primo passo quale è stato?

«Ho fatto una piccola ricerca su Internet e poi sono andato dal medico di famiglia: è rimasto sorpreso, mi ha chiesto se ci avevo pensato bene e quando ha capito che ero deciso mi ha indirizzato al reparto di nefrologia».

Questo quando accadeva?

«Due anni fa. Anche alla nefrologia gli specialisti non mi hanno subito incoraggiato, anzi – ricorda il fornaio _. ‘Prenditi tempo per pensare, ti richiamiamo’, mi sono sentito dire. E dopo un mese mi hanno domandato se fossi rimasto della stessa idea. ‘Sì, intendo donare il rene a questa persona’, ho risposto».

Come mai il percorso ha preso poi un’altra direzione?

«Perché dagli esami si è scoperto che l’uomo a cui avevo pensato non poteva affrontare il trapianto per una serie di problemi. E così mi hanno detto se volevo fermarmi oppure andare avanti e donare il mio rene a chi capitava».

A quel punto ha avuto dubbi?

«No, perché ormai avevo deciso, era una cosa giusta da fare: sarei stato un donatore samaritano, aspetto di cui solo qualche mese prima non sapevo nulla. Era un gesto fatto per un fine altruistico, facevo del bene a qualcun altro. Oggi posso dire che con un intervento e un ricovero di 8 giorni ho salvato la vita di una persona».

Vorrebbe incontrarla quella persona a lei sconosciuta?

«Mi basta sapere che adesso sta benissimo e che grazie al mio gesto si è messa in moto la catena, con altre donazioni che hanno raggiunto altri malati».

Ha avuto paura prima dell’operazione?

«No, ero tranquillo. Erano agitati la mia compagna e mio fratello, lui ha anche visto le auto partire dal Pronto soccorso a sirene spiegate con il mio rene».

Quali sensazioni al risveglio?

«La ferita non mi ha mai dato problemi. I fastidi sono venuti da una contrattura muscolare dovuta alla posizione sul fianco, ma si è risolto tutto in pochi giorni. Mi hanno potuto operare perché sono sano».

Ha dovuto cercare qualcun altro per il negozio?

«Certo, per un periodo ho dovuto farmi sostituire, però ho anche avuto l’occasione di fare un check up completo – dice il panettiere con una punta di ironia – e del tutto gratuitamente».

E il cliente che non è stato trapiantato?

«È venuto a trovarmi e mi ha chiesto come stavo. Gli ho risposto che avevo ancora un po’ di mal di schiena. Poi ci siamo guardati negli occhi, non sono servite altre parole. Ci siamo dati la mano e abbracciati. Sapeva che mi ero mosso per lui».

Che cosa direbbe per invogliare altri a fare un gesto come il suo?

«Da giovani, a 20 o a 30 anni, non credo che sia facile fare una scelta così. Ma quando si arriva alla maturità e si sta in salute, si hanno figli come me e un lavoro, allora perché no, perché non tentare? Tanto durante il percorso i medici scoprono se uno è davvero motivato. Ho avuto anche incontri con lo psicologo, a uno di questi ha partecipato anche la mia compagna. Allora vale la pena provare, perché fino all’ultimo momento, anche solo un minuto prima dell’anestesia, ti chiedono se vuoi fermarti».