Come Dj Fabo, l'ultimo viaggio di Gianni. "Amava la vita, ma era stanco di soffrire"

Suicidio assistito per un pensionato di Venezia nella stessa clinica svizzera Dj Fabo, l'amico: "Non sono triste, ha scelto lui"

Gianni Trez (Ansa)

Gianni Trez (Ansa)

Milano, 1 marzo 2017 -  Lunedì l’ha fatto un giovane dj – come ripeteva lui stesso – «un po’ ribelle», ieri invece è toccato a un tranquillo pensionato della Telecom. Domani, chissà. Una fuga, quella verso la Confederazione, che negli anni ha coinvolto decine di persone. Persone note e casi mediatici, come appunto quello di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, che prima di andarsene ha provato a scuotere dal torpore i parlamentari italiani. Ma anche cittadini «normali» che, nel silenzio, scelgono di attraversare il confine per mettere fine a sofferenze non più sopportabili.

Così capita che, subito dopo Dj Fabo, passi dalla clinica Dignitas vicino a Zurigo, Gianni Trez, 64 anni di Venezia, dipendente Telecom in pensione. Malato di un tumore incurabile da circa due anni. Proprio come Fabiano, anche Trez ha deciso di lasciare l’Italia e il suo continuo rimandare la discussione di una legge sul fine vita (l’ultimo rinvio è datato 24 febbraio), e andare a morire in Svizzera. E così ha fatto: nel primo pomeriggio di ieri è stata la stessa moglie dell’uomo, Emanuela Di Sanzo, a dare la notizia: «Non ha sofferto, era sereno, io e mia figlia gli abbiamo stretto le mani fino all’ultimo. Sembra difficile crederlo, ma era proprio tranquillo. Come diceva sempre, per lui è stato più facile morire che vivere soffrendo e senza dignità. Lui amava la vita ma era davvero stanco di soffrire».

IL CALVARIO di Trez è simile a quello di tanti altri italiani, costretti a convivere con un corpo che vorrebbero solo uccidere e con un vuoto legislativo che li condanna per una fine dignitosa all’esilio oltre le Alpi. Gianni – ha raccontato la moglie – era malato da due anni e la sua malattia lo aveva «ridotto ad avere una non vita». È arrabbiata con la politica: «Perché dovrebbe evitare agli italiani questi pellegrinaggi crudeli». Lui stesso, prima di andarsene aveva raccontato la sua storia: «Sono sempre stato un salutista. Vegano, addirittura. Poi la diagnosi del tumore, la prima operazione, le cure. Quindi la ricaduta, altre terapie, un’altra operazione. E ho detto basta». Cosa potesse significare questo «basta» lo ha spiegato la signora Emanuela: «Mio marito è equilibrato, razionale, non ha mai avuto un momento di esitazione, ha iniziato a preparare questa cosa da quando si è manifestata la malattia. Diversi anni fa, ben prima che si ammalasse, abbiamo visto un programma tv dove si parlava di suicidio assistito in Svizzera. Gianni mi disse: se mi ammalo voglio morire in questo modo».

LA MALATTIA poi è arrivata davvero. E non gli ha lasciato scampo. Gli ha lasciato solo la lucidità di poter organizzare con la moglie l’ultimo viaggio. Così anche per lui, come per Fabo e per tanti altri prima di loro, sono arrivate le trafile burocratiche, le cartelle cliniche, gli esami, i colloqui con i medici e gli psicologi. I pensieri, la rabbia, le lacrime. E alla fine la liberazione. «Potrei vivere ancora mesi, – aveva detto Gianni lunedì – forse anni, ma non riesco a mangiare, a parlare, a dormire. Provo dolori lancinanti. È una sofferenza senza senso». Ieri la sofferenza di Gianni Trez è terminata. Le sue ceneri, ha detto la moglie, verranno disperse nel lago vicino alla clinica: «Un omaggio alla Svizzera» che è riuscita a mettere fine al loro dolore. Un omaggio che l’Italia invece non si merita: «Viviamo in un Paese incivile che non concede di morire in modo dignitoso».