Divorzio, rivoluzione su assegno di mantenimento. Cassazione cambia i criteri

Il "tenore di vita matrimoniale" non è più parametro per quantificare l'assegno, che può essere riconosciuto solo se l'ex coniuge "non è autosufficiente"

Divorzio

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Roma, 10 maggio 2017 - Non sarà più il "tenore di vita matrimoniale" il parametro di riferimento per la quantificazione dell'assegno di mantenimento. E' la rivoluzione sancita in materia di divorzio dalla Cassazione che - con la sentenza pubblicata oggi  - stabilisce i nuovi criteri per il contributo in favore dell'ex coniuge economicamente più debole. 

La Corte introduce il concetto nuovo di "parametro di spettanza", basato sulla valutazione dell'indipendenza o dell'autosufficienza economica, superando il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell'assegno al livello "tenore di vita matrimoniale". All'assegno viene ora attribuito un carattere "assistenziale":  così il matrimonio non è più la "sistemazione definitiva", scrive la Corte, e sposarsi diventa un "atto di libertà e autoresponsabilità".

COSA CAMBIA -  "Secondo i giudici  - spiega bene Gian Ettore Gassani, presidente dell'associazione matrimonialisti italiani - l'assegno divorzile può essere riconosciuto soltanto se chi lo richiede dimostri di non poter procurarsi i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento". Viene così spazzato via un principio sancito nel 1970 dalla legge 898 che ha introdotto il divorzio.  

La Cassazione è termometro di un cambiamento già avvenuto - fa notare Gassani - se si considera che "negli anni '80 la concessione dell'assegno era per il 60 per cento delle coppie" e che nell'ultimo anno "è del 19 per cento". E questo perché "le donne in tanti casi lavorano e guardagnano più degli uomini". Ma la decisione della Corte è anche in linea con la realtà europea.  "La Cassazione eleva l'asticella culturale, il matrimonio non è un affare. Se si vive insieme è un conto, insomma, ma l'assegno viene concesso con oculatezza".

LA SENTENZA - La sentenza 11504 depositata oggi riguarda il divorzio tra un ex ministro e un'imprenditrice: i supremi giudici hanno respinto il ricorso con il quale la donna chiedeva l'assegno di divorzio già negatole con verdetto emesso dalla Corte di Appello di Milano nel 2014 che aveva ritenuto incompleta la sua documentazione dei redditi e valutato che l'ex marito dopo la fine del matrimonio aveva subito una "contrazione" dei redditi. Secondo i togati di Cassazione la sentenza d'appello deve essere corretta in motivazione in questo modo: l'ex moglie non ha diritto all'assegno perché occorre "superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come 'sistemazione definitiva'" perché è "ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile". E infine: "Si deve quindi ritenere  che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale".