Giovedì 18 Aprile 2024

Guerra di mafia, l'allarme del questore: "Cresce l'allerta dopo alcune scarcerazioni"

Dopo l'uccisione di Dainotti tornano alla mente le parole di Renato Cortese di una decina di giorni fa: "Ci sono state alcune scarcerazioni che ci preoccupano...il timore è che Cosa nostra possa ritornare a essere pericolosa come prima"

Renato Cortese, questore di Palermo (Olycom)

Renato Cortese, questore di Palermo (Olycom)

Palermo, 22 maggio 2017 - Il rischio era nell'aria, e il questore di Palermo, Renato Cortese, 10 giorni fa aveva lanciato l'allarme: "Ci sono state alcune scarcerazioni che ci preoccupano perché la mafia è un'organizzazione che oggi va alla ricerca di leadership. C'è sempre il timore che trovando una testa pensante in grado di concentrare le varie anime, Cosa nostra possa ritornare a essere pericolosa come prima".

Cortese era intervenuto al seminario "Raccontare Cosa nostra al tempo delle stragi", e oggi quelle parole ritornano alla mente, dopo l'omicidio di Giuseppe Dainotti. "Così è reale - avvertiva Cortese - la possibilità che possa tornare potente come prima. Per questo monitoriamo in questi mesi ogni singolo movimento, ogni segnale, ogni scarcerazione, perché le organizzazioni sono molto ben radicate sul territorio". 

A febbraio, a esempio era tornato libero Giulio Caporrimo, un capomafia palermitano di prima grandezza, boss del mandamento San Lorenzo. Caporrimo era stato scarcerato per fine pena, dopo avere scontato oltre sei anni, anche se ne doveva passare 10 dietro le sbarre i suoi legali erano riusciti a far calcolare il cosiddetto "cumulo" fra più pene, ottenendo la sua libertà. 

Il boss era già uscito dal carcere ad aprile 2010, dopo avere scontato un'altra lunga condanna per mafia, ed era tornato ad essere il capo della cosca di San Lorenzo. Fu arrestato nuovamente a novembre 2011, insieme ad altre 36 persone, ritenute appartenenti ai clan di San Lorenzo, Passo di Rigano e Brancaccio. 

Caporrimo avrebbe voluto "ristrutturare" Cosa nostra a Palermo e per questo motivò organizzò un grande vertice di mafia a Villa Pensabene, il 7 febbraio 2011. Caporrimo, già fedelissimo dei boss di Tommaso Natale Salvatore e Sandro Lo Piccolo, aveva intessuto rapporti con i mafiosi di Trapani (provincia nell'area d'influenza del superlatitante Matteo Messina Denaro) dopo essere stato a lungo in cella con Epifanio Agate, figlio di Mariano, capomafia di Mazara del Vallo. Il boss di San Lorenzo, sempre in carcere, aveva allacciato rapporti pure con la 'ndrangheta calabrese, con i mafiosi pugliesi e con i "napoletani appartenenti agli amici nostri", cioè a Cosa nostra campana.

Dainotti era sulla lista nera della mafia palermitana. Nell'aprile 2014 i carabinieri si erano mossi per fermare una guerra pronta a esplodere. "L'intervento si è reso necessario per scongiurare l'inizio di una faida tra famiglie mafiose per il controllo del mandamento di Porta Nuova. Una lotta iniziata di fatto all'indomani dell'omicidio di Giuseppe Di Giacomo, considerato il reggente dopo l'arresto di Alessandro D'Ambrogio", aveva detto l'allora comandante provinciale dei carabinieri, Piergiorgio Iannotti. 

Ecco a fine gennaio 1992 era nel gruppo dei nove mafiosi che avevano fatto ritorno in carcere, a seguito della sentenza definitiva della Cassazione sul primo maxiprocesso a Cosa nostra, per scontare otto anni. Fedelissimo del boss Salvatore Cancemi, in cella c'era finito anche per il colpo milionario al Monte dei Pegni di Palermo e per omicidio: nel novembre 2001, furono inflitti 52 ergastoli e anche Dainotti era nell'elenco. Tra i delitti oggetto del processo, anche quelli dell'agente della sezione catturandi della Squadra Mobile di Palermo, Calogero Zucchetto, ucciso con cinque colpi di pistola il 14 novembre dell'82, e del capitano dei carabinieri Mario D'Aleo, ucciso all'inizio degli anni '80. 

Nel 2000 entrò in vigore la legge Carotti che aveva disposto la sostituzione dell'ergastolo con la pena di trent'anni. Il 23 novembre quella legge fu superata da un decreto legislativo che all'articolo 7 sanciva il ritorno al passato, ma nel 2009 la Corte europea diede ragione a un imputato italiano e la Cassazione gli ridusse la pena a trent'anni. E Dainotti uscì dal carcere.