Mercoledì 24 Aprile 2024

Citta d'arte, più potere ai sindaci. "Limiti a fast food e negozi etnici"

Il governo estende la 'norma Unesco'. Sì anche a divieti all'edilizia

Un chiosco di kebab

Un chiosco di kebab

Roma, 26 novembre 2016 - Via libera alla cosiddetta «Norma Unesco». I sindaci potranno bloccare l’apertura di street food, McDonald’s e supermercati nelle zone di maggior pregio artistico, architettonico, archeologico o paesaggistico di città e comuni della Penisola. E potranno dire no anche a officine, autolavaggi o altre attività produttive inquinanti o poco confacenti rispetto al valore delle aree di precipuo valore storico-culturale del Paese. Così come potranno limitare la vendita di determinati prodotti a favore di altri (magari tipici del contesto di riferimento). La novità, che estende e ridisegna una regola in parte già in vigore e attuata da qualche comune, come Firenze e Padova, è contenuta nel decreto attuativo della Riforma Madia ribattezzato «Scia 2», approvato definitivamente due giorni fa dal Consiglio dei Ministri. Un provvedimento – uno dei pochi – che non è finito sotto la mannaia dell’ultima sentenza della Corte costituzionale.    La cosiddetta «Norma Unesco», nello specifico, è prevista dall’articolo 1, comma 3, del provvedimento. Viene stabilito – e la versione finale del testo lo conferma – che il Comune, d’intesa con la Regione, sentito il soprintendente, può individuare, con apposite deliberazioni, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l’esercizio di una o più attività indicate nello stesso decreto. Le attività sono individuate con riferimento al tipo o alla categoria merceologica. E non si tratta dunque solo di attività commerciali, ma di tutte le attività (intese come tipo o categoria merceologica) citate nel provvedimento e riguardanti il commercio, l’edilizia e l’ambiente.    A titolo di esempio, è possibile indicare le piccole, medie e grandi strutture di vendita di prodotti alimentari e non, le attività di commercio ambulante e quelle di somministrazione di alimenti, fisse e itineranti, per finire con le sale giochi. Ma anche le officine meccaniche, le autorimesse e i distributori di carburante, fino agli acconciatori e agli estetisti, ai panificatori e alle lavanderie.  I comuni, dunque, potranno dire no a supermercati e McDonald’s, ma anche a esercizi di vicinato, come pure a negozi di catene commerciali, fino a bancarelle e strutture mobili di vendita, qualora la loro presenza venga considerata non appropriata per il decoro o la tutela delle aree di particolare interesse artistico, archeologico, paesaggistico.  Immediata la considerazione che, di fatto, la regola in gioco potrà essere usata non solo per i centri storici e le zone monumentali delle città d’arte del Belpaese ma anche per quelle di pregio dei comuni minori.    Soddisfatti ambientalisti e comuni, si dichiarano sul piede di guerra le associazioni del commercio. In prima fila Federdistribuzione, che raccoglie i gruppi della grande distribuzione organizzata. «Prendiamo atto della decisione del governo – fanno sapere –. Una decisione contraria ai principi di liberalizzazione delle attività economiche e che presenta, a nostro avviso e a parere di esperti, profili di incostituzionalità. Un provvedimento destinato a penalizzare le scelte dei cittadini e a frenare gli investimenti delle imprese sul territorio. Esattamente il contrario di quello di cui avremmo bisogno per rimettere in moto il Paese e le economie locali. Solleveremo la questione di legittimità costituzionale della norma».