Martedì 23 Aprile 2024

"Cei, con Bassetti è l'ora del dialogo"

Intervista al presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, dopo il cambio al vertice della Conferenza episcopale italiana

L'arcivescovo Giovanni Ricchiuti

L'arcivescovo Giovanni Ricchiuti

CITTA' DEL VATICANO, 30 maggio 2017 - "Meno interventismo nelle vicende politiche, più dialogo con la società e la cultura post-moderna e, perché no, anche fra noi vescovi che ne abbiamo bisogno". All'indomani della prima conferenza stampa del neo presidente dell'episcopato italiano, cardinale Gualtiero Bassetti, è il numero uno di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti, a tracciare il profilo del nuovo corso della Cei. Nominato nel 2013 da papa Francesco vescovo, col titolo ad personam di arcivescovo, di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, il presule fa parte del collegio episcopale dal 2005, un tempo più che sufficiente per ripercorrere le diverse stagioni della Chiesa in Italia, dal ventennio ruiniano ai dieci anni a trazione Bagnasco fino all’arrivo in plancia di comando del 75enne pastore di Perugia. "Bassetti è un amico dotato di grande ironia - confida Ricchiuti -. Siamo stati entrambi rettori di seminario, io a Molfetta, lui a Firenze. Conosco e apprezzo molto il suo stile, semplice e diretto".

Eccellenza, riavvolgiamo prima il nastro. Che ricordi ha della presidenza Ruini?

"Quando sono stato ordinato vescovo, lui era preceduto dalla fama di essere un presidente che teneva il timone dell'episcopato con assoluta determinazione, godendo della piena fiducia di Giovanni Paolo II. La sensazione diffusa era che il cardinale preferisse occuparsi delle vicende politiche, a mio avviso un po' troppo, rispetto a quello che dovrebbe essere il ruolo delle Chiese in Italia. Ai tempi del governo Berlusconi la formazione di un nuovo partito moderato dei cattolici andò a vuoto per l'opposizione proprio di Ruini. Con lui al vertice della Cei, avevamo come l'impressione di una presenza più politica che ecclesiale".

Più che a una Dc bis, il vicario di Roma puntava ad avere politici cattolici in entrambi gli schieramenti, non trova?

"Il suo era una discorso di trasversalità, questo sì. A noi, che eravamo un po' spettatori e stavamo in strada, non dietro le scrivanie e i progetti, una simile idea non andava troppo giù. Non perché avessimo una qualche nostalgia di un partito cattolico o dei cattolici, sapevamo bene che quella sarebbe stata un'ipotesi anacronistica. Sentivamo piuttosto il bisogno di politici capaci di tradurre nel sociale una visione evangelica. Questo cozzava con un'impostazione trasversale, perché ritenevamo utopistico che un cristiano potesse portare il seme del Vangelo in un partito non schierato a difesa delle classi più disagiate".

Conclusa l'era Ruini, al suo posto nel 2007 Benedetto XVI scelse l'arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco: quali erano le attese della maggioranza dell'episcopato verso la nuova presidenza?

"La speranza era quella di uscire fuori dall'agone politico, di chiudere con una certa stagione d'invadenza nelle vicende dello Stato, con gli interventi a gamba tesa. Si sentiva il bisogno di lasciare spazio alla presentazione della vita nelle varie diocesi al fine di far convergere la presenza della Chiesa in Italia su alcuni punti comuni. L'auspicio di fondo era quello di un approccio più pastorale. In altri termini, si voleva tornare a ragionare sul Vangelo in modo che la comunità ecclesiale potesse essere un richiamo, per il mondo della finanza, della politica, della cultura ai valori evangelici".

Valori, dunque. Nel primo quinquennio a guida Bagnasco se ne è parlato eccome... Come ha vissuto la fase dei 'valori non negoziabili'?

"C'era una larga fetta dell'episcopato che non accettava questa logica del muro contro muro. Parlare di 'valori non negoziabili' significava che non si potesse neanche ragionare, che non vi fosse alcuno spazio per il dialogo. Ricordo che in quegli anni il cardinale Carlo Maria Martini diceva che la Chiesa oggi non può più attendersi una traduzione tout court del Vangelo nella politica, deve semmai accontentarsi di ottenere non il massimo possibile quanto il minimo possibile. Dal mio punto di vista ritengo che noi cattolici siamo chiamati a stare in questo mondo, mostrando attenzione a quanto matura anche su altre sponde. Per questo posso dire che, insieme con tanti confratelli, non condividevo la non negoziabilità dei valori. Non è che volevamo farci travolgere da tutto, questo no, Sostenevamo piuttosto l'esigenza di ragionare, di confrontarci, cercando di capire che ormai i tempi stavano cambiando".

Messa a confronto con quella Ruini, la presidenza Bagnasco è stata accusata di irrilevanza politica da parte di alcuni settori della Cei.

"Non mi stupisce... La ventata ruiniana non è che si sia esaurita dopo il 2007. La composizione dell'episcopato è cambiata solo da qualche anno grazie alle ultime nomine di Benedetto XVI e a quelle di Francesco. Oggi i vescovi di fresca ordinazione non condividono più l'idea di una presenza marcata della Cei nelle vicende politiche. Durante la presidenza Bagnasco ricordo il disagio mio e di altri per le sue prolusioni che non sentivamo sempre come condivise. Certo, si parlava di Chiesa e di Vangelo, ma la predominanza era data alla riflessione sulla famiglia, sul lavoro, con una colorazione ancora troppo politica. Il rischio di un simile atteggiamento era quello d'invadere campi che non ci competevano e non ci competono neanche oggi".

Che cosa intende dire?

"Fra poco inizierà 'La settimana sociale dei cattolici'. Noi vescovi, al pari di altri nel Paese, siamo preoccupati per una disoccupazione giovanile a livelli ancora così alti, soprattutto al sud. Certamente come episcopato richiameremo il Governo su questo problema, in quanto in ballo vi è un principio evangelico, quale la dignità della persona. Ma non è nostro compito scendere in analisi specifiche, in tecnicismi".

A Bagnasco va comunque riconosciuto di avere previsto già nel 2007 l'impatto della crisi economica sulle famiglie, se è vero che nelle sue prolusioni denunciava l'aumento dei pacchi viveri distribuiti dalle Caritas diocesane. A molti sembrava un'esagerazione e invece...

"Questo aspetto è verissimo. I nostri rilievi potevano essere sul piano etico rispetto a posizioni che ci sembravano un po' troppo chiuse. Le analisi sociali, invece, quelle sulla disoccupazione o sulla mancanza di sostegno alle famiglie,  per esempio, erano non solo condivisibili, alle volte anche profetiche".

Arriviamo al presente. Si aspettava che nella terna, votata da voi vescovi e sottoposta al Papa affinché scegliesse il nuovo presidente, non ci fosse neanche un esponente ruiniano?

"Sì, nessuna sorpresa. L'episcopato è radicalmente cambiato e i nomi di Gualtiero Bassetti, Franco Brambilla e Francesco Montenegro sono stati quelli più gettonati sin dalle prime votazioni".

I retroscena raccontano che una larga fetta di ruiniani abbia votato Bassetti, con la consapevolezza che avrà davanti a sé, causa l'età, un ministero di cinque anni, non di più.

"Ho sentito anche questo... Ma non mi soffermerai troppo su tale aspetto".

Che discontinuità prevede rispetto a Bagnasco?

"Nella Chiesa ogni discontinuità è allo stesso tempo continuità nella Tradizione, nell'osservanza e nell'affermazione dei principi evangelici. In quell'essere sale della terra e luce nel mondo, così come ci ha chiesto Gesù, è chiaro che ognuno di noi porta la sua persona, la propria cultura, la sua sensibilità. Questo accadrà anche con il cardinale Bassetti. Sicuramente l'arcivescovo ci metterà  la sua esperienza di educatore, la sua attenzione al mondo giovanile, anche il suo modo di essere davvero appassionato.Sul punto vorrei raccontarvi  un siparietto che ho avuto con lui in questi giorni".

Prego...

"Sono andato a congratularmi per la nomina. Il cardinale mi ha abbracciato e mi ha detto: 'Fatti sentire, invitami alle tue birbonate'. Si riferiva, con un'espressione tipicamente fiorentina, al fatto di coinvolgerlo nelle iniziative di Pax Christi sulla pace, sul disarmo. Così gli ho risposto: 'Eminenza, prima scherzavo col cardinale Bagnasco, che è stato ordinario militare, ora credo che come vescovi dobbiamo impegnarci molto su temi così importanti'".

Durante la sua prima conferenza stampa il neo presidente ha distinto la politica con la 'p' minuscola, quella dei partiti, dalla politica con la 'P' maiuscola relativa al bene comune. È in quest'ultima che la Chiesa, ha detto, vuole impegnarsi.

"É il segnale della volontà di porre al centro la dignità della persona e il bene comune, non le beghe dei partiti".

Bassetti, che l'anno scorso sostenne la seconda edizione del Family Day, sostanzialmente in nome di un'opposizione alla stepchild adoption, davanti ai cronisti ha glissato sul terzo appuntamento della manifestazione, atteso per il prossimo autunno. Nessuna 'benedizione' a priori a dispetto di quanto fecero i vertici della Cei nel 2007, in occasione della prima dell'evento - sulla quale il cardinale fu piuttosto critico -, ma l'impegno ad affrontare e riapprofondire la questione. Benedetta prudenza?

"Nella Chiesa ci sono molte anime ed è noto che il Family Day non è stato mai unanimamente accettato. Personalmente non credo molto a questo modo di manifestare le proprie ragioni. Non riusciamo a scendere in piazza con lo stesso spirito per la pace e il disarmo, come se questi temi non interessassero, e invece lo facciamo per questo tipo di iniziative. Non dico che il Family Day non abbia valore, per carità, tuttavia credo che i cattolici e le famiglie cristiane siano chiamatI a testimoniare e raccontare la bellezza dell'amore, la sua dimensione generativa. Dal canto suo lo Stato deve legiferare a favore delle minoranze così come delle maggioranze. Il problema è che nella realtà dei fatti le seconde non ottengono la stessa attenzione. É giusto riconoscere, come è accaduto, le unioni civili, ma penso che occorra dare anche risposte alle problematiche di chi sceglie la famiglia, e non sono solo i cattolici, cioè la relazione fra un uomo e una donna".