Giovedì 18 Aprile 2024

Carte di credito, presi i super clonatori. "Pizzini telematici per rubare i dati"

Banda italo-romena: 12 arresti in Lombardia. "Negozianti collusi". Per eludere le intercettazioni i lettori di bande magnetiche venivano chiamati 'magliette'

RAFFICA DI ARRESTI Su un totale di 26 indagati il gip del Tribunale di Monza ha disposto la custodia cautelare in carcere per 12 persone, tutte romene (Newpress)PROVENTI I vertici della banda ricevevano gli introiti attraverso un giro di prestanome (Newpress)

RAFFICA DI ARRESTI Su un totale di 26 indagati il gip del Tribunale di Monza ha disposto la custodia cautelare in carcere per 12 persone, tutte romene (Newpress)PROVENTI I vertici della banda ricevevano gli introiti attraverso un giro di prestanome (Newpress)

Milano, 8 settembre 2016 - Il capo veniva comunemente chiamato «Padrino». C’era un linguaggio in codice per bypassare gli eventuali tentativi di intercettazione. Con comunicazioni via web blindate dalla modalità del cosiddetto «pizzino telematico», cioè con due interlocutori che si mostrano al monitor solo un foglietto con una scritta senza proferire parola. Insomma, un’organizzazione ben strutturata, che per gli inquirenti si era dotata di un modello gerarchico simile a quello mafioso e che poteva pure contare sulla decisiva complicità di insospettabili commercianti. Principale fonte di approvvigionamento: la clonazione di decine di carte di credito.

Il modus operandi dell’associazione che agiva lungo l’asse Italia-Romania è stato ricostruito dagli agenti del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Milano, che ieri hanno eseguito 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip Emanuela Corbetta per altrettanti componenti della banda, tutti di nazionalità romena; altre 14 persone risultano solo indagate. Gli approfondimenti investigativi – inizialmente condotti dai pm della Procura di Milano ma successivamente passati per competenza a quello di Monza Michele Trianni (la maggior parte dei personaggi coinvolti gravitava nella zona di Cinisello Balsamo) – hanno preso spunto da altri filoni d’inchiesta, compreso quello legato all’omicidio datato dicembre 2014 di un rom di nazionalità serba in una discoteca del Bresciano.

Pian piano, i poliziotti hanno ricostruito un complesso sistema che fondava i suoi introiti quasi esclusivamente sulla contraffazione di tessere di pagamento emesse da banche delle Isole Cayman, Cina, Panama, Giappone, Svizzera, Olanda, Regno Unito, Francia, Perù e Stati Uniti. Come funzionava? L’acquisizione illegale dei dati presenti sulla banda magnetica avveniva attraverso l’apposizione di congegni elettronici su sportelli bancomat e Pos (metodo «skimming»); la riproduzione delle credit card veniva invece effettuata materialmente all’interno dei locali di una pizzeria dell’hinterland. Parte dei ricavi andava ad alcuni esercenti compiacenti tra Milano e Monza, che si prestavano per far monetizzare illecitamente un imponente numero di carte di credito evidentemente «taroccate». Non solo clonazione, però.

Il gruppo criminale si foraggiava pure sulla pelle di ragazze reclutate in Romania e costrette a trasferirsi in Italia e Svizzera per prostituirsi nei locali notturni: alle giovani donne (che nel gergo concordato diventavano «giraffe» o «valigie») venivano dati vitto, alloggio e capi d’abbigliamento in cambio del 50% del guadagno giornaliero (in media 700 euro). Il denaro che arrivava dalle credit card e dallo sfruttamento della prostituzione veniva quindi rimesso in circolo e riscosso da prestanome che lo prelevavano via money transfer per poi consegnarlo ai capi. Che avevano pensato a tutto, escogitando persino un vocabolario di facciata per eludere possibili controlli: al telefono, lettori di banda magnetica e tablet si trasformavano in «magliette» e «camicie», mentre «cava», «sabbia» e «salami» si riferivano a banconote fasulle o sigarette di contrabbando.

Tutti i supporti tecnologici utilizzati dalla banda sono stati sequestrati dai poliziotti (perquisizioni e mandati di arresto europeo condivisi con i colleghi romeni della direzione anticrimine Diicot), così come immobili e veicoli in uso ai vertici dell’organizzazione.