Mercoledì 24 Aprile 2024

Biotestamento, il giudice: "Staccai io la spina a Eluana Englaro"

"Politica ferma da 8 anni: inaccettabile che non ci sia una legge"

Giuseppe Englaro mostra la foto di sua figlia Eluana (Ansa)

Giuseppe Englaro mostra la foto di sua figlia Eluana (Ansa)

Roma, 2 marzo 2017 - OTTO ANNI. Eluana Englaro se ne andava per sempre il 9 febbraio del 2009 nella clinica «La Quiete» di Udine. Era arrivata lì sei giorni prima, al culmine di una battaglia giudiziaria-politica, con il papà Beppino che aveva ricevuto l’autorizzazione dai giudici a interrompere l’idratazione e nutrizione artificiale, cui era sottoposta da 17 anni. A firmare quel provvedimento che spaccò l’Italia fu Filippo Lamanna, presidente della corte d’Appello civile di Milano.

Otto anni dopo si discute ancora di biotestamento. E la legge non c’è ancora.

«È inaccettabile – dice Lamanna che ora è il presidente del tribunale di Novara – che permanga un vuoto normativo su una materia come questa».

Da un anno alla Commissione Affari Sociali della Camera si discute su una proposta di legge per il testamento biologico. Che idea si è fatto?

«Non voglio entrare nel merito, sugli aspetti normativi in discussione, anche perché noto che la contrapposizione ideologica è abbastanza forte. Mi limito a dire che questa proposta di legge è meglio del nulla. Altrimenti... ».

Altrimenti?

«Altrimenti ci si rivolge alla magistratura».

Come succede sempre più spesso. E non solo per il fine vita.

«E la magistratura è soggetta alle sue interpretazioni e non è detto che il cittadino riesca sempre ad avere la tutela dei propri diritti. La magistratura dovrebbe intervenire quando una legge c’è già per darne attuazione. Invece le viene chiesto sempre più spesso un’interpretazione che definirei evolutiva».

Colpa della politica?

«Il politico deve legiferare e dovrebbe quanto meno anticipare i tempi, precorrerli. E invece, purtroppo e sottolineo purtroppo, ci ritroviamo con i giudici che per l’inerzia del legislatore, sono costretti a fare un lavoro oltre che d’interpretazione evolutiva, come dicevo, anche di completamento normativo. Ed è anche per questo che il quadro normativo su determinate questioni non può restare così lacunoso a lungo».

Ci vuole più tempo a fare una legge che a partorire?

«Basterebbe guardarsi attorno. Prendiamo gli Stati Uniti, nel 1976 in materia di fine vita c’è il primo caso spinoso: il caso Quinlan dove viene affermata la teoria del giudizio sostitutivo dell’incapace, il cosiddetto giudizio presunto e del diritto alla privacy (in cui l’interesse della ragazza alla rimozione del respiratore artificiale è superiore all’interesse dello Stato alla conservazione della vita, ndr). In quel quadro è stata costruita una norma. Copiamo tante leggi. Non sarebbe difficile farlo anche in questo ambito».

Quando lei firmò quel provvedimento, in Italia c’era un clima incandescente sul destino di Eluana. Rifarebbe tutto quello che ha fatto?

«Il clima era pesante sia prima, sia durante, sia dopo. Ma ero consapevole di aver fatto la scelta giusta, guardando anche all’esempio americano che facevo prima».

Di fronte agli ultimi casi di suicidi assistiti in Svizzera, il Paese è maturo per una legge sul fine vita più estensiva, al di là del biotestamento?

«Non è questione se sia maturo il Paese, perché credo che gli ultimi casi dimostrino pienamente quale è il sentire. Non è maturo il nostro sistema politico. Per questo dico meglio un uovo oggi, quindi la legge sul biotestamento. Poi per il resto si vedrà».

Eppure anche sul biotestamento non si placano le polemiche.

«Eppure il cosiddetto Dat, le disposizione anticipate di trattamento, previsto dalla proposta di legge è ancorato ai nostri principi costituzionali sanciti dall’articolo 32 sul trattamento sanitario. Sugli aspetti di una norma più estensiva invece per il fine vita, che comprenda il suicidio assistito, serve un intervento molto più articolato che superi le norme punitive esistenti per reati come l’istigazione al suicidio e l’omicidio del consenziente».

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