Elisa e Arianna, il talento non è tutto. "Addio sport, andiamo in Africa"

Ventuno anni e un destino comune: cambiare vita per aiutare gli altri

La ginnasta Arianna Rocca e la calciatrice Elisa Mele

La ginnasta Arianna Rocca e la calciatrice Elisa Mele

Roma, 24 settembre 2017 - Due anime gemelle dal destino parallelo. Due sportive dal talento cristallino, espresso lontano dai riflettori del grande pubblico, e accomunate da un’identica necessità. Ovvero disfarsi sul più bello di quel dono e di anni di sudore e sacrifici per dedicarsi agli altri. Una scelta controcorrente, coraggiosa è dire poco, alla faccia della comodità e del senso comune. Arianna Rocca ha detto basta a Eboli, lo scorso weekend, salendo sul podio nell’ultima gara di ginnastica artistica della sua (prima) vita. Incredibile ma vero, per una ragazza che a maggio ha fatto appena ventuno anni, di cui 19 passati in palestra. Una carriera da predestinata, con un unico rimpianto. La nazionale: «Ero sempre lì, a un passo dalle gare importanti, ma alla fine facevo ogni volta la riserva». Un addio dettato, in parte, anche da questa delusione. «Certo, non è stato facile, ma in fondo ero l’ultima tra le migliori. Ho sempre dato il massimo, a me basta e avanza, anche se non aver ottenuto quello che desideravo da anni ha influito molto», racconta lei, che nel 2015 al trofeo di Jesolo (il concorso internazionale più importante del mondo) nel volteggio si arrese solo davanti a quel fenomeno di Simone Biles, che l’anno dopo avrebbe sbancato le Olimpiadi di Rio de Janeiro con quattro ori.  La decisione di lasciare non è stato una folgorazione. «Ci ho pensato a lungo e alla fine è venuto naturale», spiega Arianna. Ora l’obiettivo più vicino è laurearsi, ma l’orizzonte è lontano migliaia di chilometri: la Tanzania, come volontaria ed educatrice di bambini.    Un destino incrociato a quello di Elisa Mele. Ventuno anni anche lei. Una carriera fulminante nel Brescia Calcio, sulla faccia più povera dello sport più ricco d’Italia. Elisa ha iniziato a 10 anni e dopo il settore giovanile ha rivelato a tutti il suo talento. L’esordio nel 2012, poi lo storico scudetto del 2016, le vittorie in Coppa Italia e in Supercoppa, la partecipazione alla Champions League e la convocazione in azzurro da parte del ct Antonio Cabrini, che l’ha fatta giocare a dicembre nel torneo di Manaus. Insomma, un presente di soddisfazione e un futuro che ne prometteva altrettante.    E invece no. «Ho sempre sognato di arrivare dove sono arrivata, poi, però, capita che i tanti progetti che avevi in testa iniziano ad essere sormontati da qualcosa di diverso», ha scritto Elisa nella lettera di addio alle sue compagne: «Si potrebbe dire che ‘la vita prende il sopravvento’, ma preferisco utilizzare altri termini. Più che altro, a un tratto si prende in mano la vita, ci si guarda allo specchio e ci si dice: ‘Che voglio fare, o meglio, chi voglio essere?». Ed Elisa si è data la sua risposta: ha passato agosto in Mozambico, come missionaria, e ora si è iscritta a Scienze Religiose. Una vocazione, un richiamo forse figlio di quell’infanzia passata a tirare calci nell’oratorio di Santa Maria della Vittoria. O più semplicemente la necessità di dare un senso più profondo alla propria esistenza. «La mia risposta sicura ‘Voglio essere una calciatrice’ ha iniziato a lasciare spazio a ‘Voglio essere voce di chi non ha voce, aiuto per gli altri... voglio essere chi mi dice il cuore».    Destini paralleli, scelte gemelle. Elisa e Arianna non sono le prime e non saranno le ultime di quell’esile categoria di sportivi che nel pieno della carriera hanno cambiato campo di gioco e abbracciato nuove sfide. Come Carlos Roa, argentino che a fine anni Novanta, subito dopo aver vinto il premio come miglior portiere di Spagna, decise di dedicarsi alla Chiesa Avventista, scegliendo di non giocare più di sabato. O Ruggero Trevisan, estremo della Benetton Treviso e azzurro di rugby, che due anni fa è entrato in seminario. Come lui Stefano Albanesi, ex attaccante e oggi prete. Per la religione, rifiutò un contratto miliardario e Giovanni Galeone, che lo aspettava a Pescara per dargli l’occasione della vita, lo bollò sprezzante: «Per fortuna ce l’ha detto subito, altrimenti ci avrebbe convertito tutto lo spogliatoio». Questione di stile. E di scelte.