Anna Frank, l'ira degli ebrei: "Basta omertà nel calcio"

Pacifici: fenomeno sottovalutato, le star si ribellino

L'adesivo su Anna Frank e Claudio Lotito

L'adesivo su Anna Frank e Claudio Lotito

Roma, 25 ottobre 2017 - Bufera sugli adesivi trovati l'altro giorno all'Olimpico.  Anna Frank, la ragazzina deportata e uccisa nel campo di sterminio di Bergen Belsen, viene raffigurata dai tifosi della Lazio con la maglia della Roma. Pioggia di critiche dal mondo politico e sportivo. Lotito si dissocia: biancocelesti a Bologna con una maglia commemorativa. Sui campi, nel turno infrasettimanale di Serie A, viene letto il Diario della martire. Di seguito l'intervista a Riccardo Pacifici, ex presidente della Comunità ebraica di Roma. 

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di GIOVANNI ROSSI

Riccardo Pacifici, ex presidente della Comunità ebraica romana e romanista sfegatato, non è uno che le manda a dire. E di messaggi – «a titolo personale» – stavolta ne ha parecchi.

La Lazio si è presentata senza invito in Sinagoga. Giusto o sbagliato? «Di solito, in questi casi, ci si accorda. La diplomazia ha i suoi riti. Ma il gesto resta. Al pari della solidarietà espressa da tanti laziali a noi ebrei romani. Anche se...».

Dica. «Stavolta sono io come cittadino italiano ebreo a voler portare la mia solidarietà agli altri cittadini italiani. Le magliette di Anna Frank come i ‘buu’ ai calciatori di colore offendono prima di tutto gli italiani e solo dopo i bersagli delle persecuzioni da stadio».

L’antisemitismo nel calcio è una categoria del razzismo o una precisa zona d’odio? «Chi utilizza l’immagine di Anna Frank con modalità da stadio sa quel che fa. Sa di utilizzare il principale bersaglio dei revisionisti e dei negazionisti in chiave antisemita. Tra l’altro l’immagine di Anna Frank, virata in versione calcistica, girava da parecchi giorni sulla Rete. E anche in maglia della Lazio. Chi ha agito all’Olimpico lo ha fatto dietro regìa. Nessuno può minimizzare».

Come se ne esce? «Con un’azione coordinata e concentrica. Anzitutto, in casi come quello di domenica, il resto del tifo va educato alla reazione per direttissima, come per esempio accade in Germania dove la Bundesliga dedica un budget sostanzioso a questa dinamica proattiva. L’iniziativa funziona da oltre dieci anni. Perché in Italia siamo in ritardo? Non trovo risposte».

Club e leghe hanno le loro colpe. «Nel passato c’è stata sottovalutazione dei fenomeni. Ora è un’altra fase. Ma serve unità d’intenti e maggior decisione per modificare il contesto. Deve partire una battaglia costante contro tutte le degenerazioni. Anche perché, spesso, dietro i contrasti tra curve e dirigenza si nascondono veri ricatti. In un clima di intimidazione».

L’Uefa arruola i campioni per messaggi antirazzismo. Basta? «No. I giocatori simbolo devono diventare protagonisti effettivi della battaglia. Va dato uno stop fortissimo all’omertà per quieto vivere che ancora oggi in molte piazze permea il rapporto tra i giocatori simbolo e gli ultrà. Quando avvengono episodi gravi, l’arbitro e i due capitani dovrebbero consultarsi e mandare tutti negli spogliatoi. Fallo una volta, fallo due volte, e vedrai il risultato. Perché la rivolta dei tifosi veri contro gli ultrà finalmente scoppierebbe».

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Anna Frank - Dire