Aneurisma, quella ciliegina nel cervello. Una bomba a orologeria

Il neurochirurgo Delitala: le lesioni possono rompersi, la metà non sopravvive

L'ingresso dell'ospedale Pertini di Roma (Ansa)

L'ingresso dell'ospedale Pertini di Roma (Ansa)

Roma, 22 novembre 2017 - L'aneurisma è come un ciliegina nel cervello, una bomba a orologeria che può scoppiare da un momento all'altro. Ne parliamo con Alberto Delitala, past president della Sinch, la Società italiana di neurochirurgia, spinti da un fatto di attualità. Il ministro Beatrice Lorenzin ha infatti disposto l`invio di una task force all'ospedale Sandro Pertini di Roma per chiarire il caso di una giovanissima paziente, 14 anni, arrivata al pronto soccorso con un forte mal di testa, e trasferita al Bambino Gesù in neurochirurgia per aneurisma. La squadra di esperti è formata, tra gli altri, da specialisti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e ispettori del Ministero della Salute.

Professor Alberto Delitala, lei è direttore della neurochirurgia al San Camillo di Roma, come e quanto incide l’aneurisma in Italia?

«Sono eventi rari. Possono restare dove sono o rompersi causando emorragie gravissime. Nei casi estremi, più della metà non arriva in vita al pronto soccorso».

È corretto associarli alla pubertà?

«Sono più caratteristici dell’età adulta, dai 30 ai 60 anni, mentre nei bambini e negli adolescenti la patologia è costituita piuttosto da angiomi cerebrali».

Non sono la stessa cosa?

«Gli angiomi sono un groviglio di vene e arterie anomale, possono dare cefalea o crisi epilettiche, molto raramente emorragia. L’aneurisma è una pallina attaccata a un’arteria che pian piano si sfianca».

Proprio questo è accaduto alla ragazzina.

«Un caso inquietante, ma era corretto portarla in un ospedale come ilPertini. L’esame necessario per rendersi conto se c’è emorragia è la Tac. A quel punto non dovevano fare altro che portarela paziente al Bambino Gesù, come hanno fatto. Anche noi al San Camillo abbiamo un volume di casi neurochirurgici particolarmente elevato e i pazienti in età pediatrica sono trasferiti automaticamente, in sicurezza, al Bambino Gesù».

Un’obiezione è che al Pertini la neurochirurgia è chiusa da due anni.

«I report mostrano che i risultati migliorano concentrando i pazienti in pochi centri di qualità. La Regione Lazio ha perseguito una politica di accorpamento già adottata in Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, è lo schema della ruota a raggi, hub e spoke».

Che cosa prova da medico?

«Non ci sono parole per esprimere vicinanza a una famiglia duramente colpita dalla morte di un figlio».

E fuori dal caso specifico?

«L’organizzazione sanitaria in Italia è perfettibile, ma tende a essere una delle migliori. Abbiamola fortuna di avere presidente della neurochirurgia mondiale un italiano, Franco Servadei (è all’Humanitasdi Rozzano-Milano, ndr). Assieme a lui ci siamo confrontati con realtà americane, cinesi, francesi. E il nostro modello si rivela vincente, così dicono le statistiche. I fatti di cronaca più dolorosi non devono incoraggiare fughe nel privato».