Giovedì 18 Aprile 2024

Così i burocrati boicottano Renzi: ecco i poteri forti dei 'mandarini'

I funzionari del Senato scrivono gli emendamenti per le opposizioni. E al ministero dell'Economia una ventina di alti dirigenti rema contro il Governo

GRAFICO I costi dei burocrati

GRAFICO I costi dei burocrati

Andrea Cangini

ROMA, 26 luglio 2014 - ARMATI di apriscatole, i grillini dovevano scoperchiare il Palazzo: hanno invece finito per allearsi con i suoi principali mandarini. «Pendono dalle labbra dei funzionari del Senato, che gli hanno materialmente scritto gli emendamenti per impallinare la riforma di Palazzo Madama», racconta un senatore della minoranza Pd che in questi giorni ha collaborato con loro. Vale anche per Sel, dove si ammette: «Quelli del servizio legislativo ci hanno aiutato a scrivere centinaia di emendamenti a prova ‘canguro’». Difficili, cioè, da accorpare per essere eliminati con un sol voto. Denuncia inoltre un renziano che il presidente del Senato, Pietro Grasso, «ha sviluppato un rapporto simbiotico col segretario generale, Elisabetta Serafin, ed è inconsapevole ostaggio dei suoi burocrati». Quelli che l’hanno convinto a consentire il voto segreto su tutti gli emendamenti alla riforma Boschi che si occupano di minoranze linguistiche.

NON È CHIARO se Grasso sia stato raggirato o se fosse invece consapevole, certo è che quello delle minoranze linguistiche è un escamotage. Per regolamento, infatti, l’aula del Senato non può votare a scrutinio segreto le leggi che riguardano organismi costituzionali (come il Senato medesimo) ma poiché il regolamento consente invece il voto segreto quando in ballo ci sono i diritti delle minoranze, ecco moltiplicarsi gli emendamenti che citano le minoranze linguistiche per fissare ben altri princìpi. A partire da quello dell’elettività dei senatori.

CAVALLI di Troia, escogitati dai burocrati di Palazzo Madama per impedire una riforma che, riducendo competenze e volume del Senato, ridurrebbe i loro margini d’azione. Se a ciò si somma la guerra dichiarata da Renzi contro le alte burocrazie pubbliche e l’input di palazzo Chigi per porre un tetto agli stipendi non solo nella Pubblica amministrazione, ma anche negli organismi costituzionali come Camera e Senato, ecco spiegato il senso della rivolta. La rivolta dei mandarini.  Le cui resistenze vanno ben oltre la riforma del Senato e toccano ogni attività del governo. Per aggirare il blocco dei decreti attuativi, Renzi e il ministro Boschi hanno deciso di allestire un coordinamento presso Palazzo Chigi. Ma le resistenze sono grandi, il coordinamento ancora non c’è. Con grande capacità mediatoria, il sottosegretario Delrio è riuscito a stabilire un rapporto di collaborazione con la Ragioneria generale dello Stato, che del mandarinato pubblico è la cupola. Ma non basta. Al ministero dell’Economia regnano infatti una ventina di alti dirigenti che se ne infischiano delle esigenze del governo e mai deflettono dalla propria logica decennale.

AD ESEMPIO: hanno recentemente bocciato una norma che prevedeva un credito di imposta per le aziende che investono in infrastrutture telematiche perché determinerebbe minori entrate per lo Stato. Argomento assurdo, essendo gli investimenti il presupposto di uno sviluppo maggiore e dunque di maggiori entrate per lo Stato. Impossibile convincerli. Andrebbero costretti, ma, dicono due fonti diverse, «il ministro Padoan è un ‘signore’ ed ha vissuto sempre all’estero, dunque non avverte il problema e per carattere non confligge». Mentre di confliggere si tratterebbe. In barba al principio della separazione dei poteri, i magistrati (ordinari, contabili o amministrativi che siano) occupano ogni snodo vitale del governo: hai voglia a parlare di riforma della Giustizia... Nei giorni scorsi il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ha lamentato gli interessi materiali che ispirerebbero certi alti burocrati ministeriali. Era una confidenza, però, non certo una denuncia.