Coppia dell'acido, le follie nel telefono di Boettcher

Aperto l'iPhone: "Marchio le ragazze come bestiame". Foto hot e ricerche sull'evirazione

Alex e Martina in vacanza con un'amica

Alex e Martina in vacanza con un'amica

Milano, 1 marzo 2016 - COLTELLI e falcetti. Lame efficaci e fatte apposta - spiegava la voce internet Vice consultata da Alexander Boettcher il 20 maggio 2014 - per «pugnalate al pisello», per evirare con nettezza, precisione, senza scampo. Che stranezza: l’unico titolo di reato non contestato all’Alex the King, ma solo alla sua Martina, è il tentativo di evirazione di Antonio Margarito, flirt che la ragazza ebbe nell’agosto 2013 in Salento, e ragazzo che poi lei aggredì nella sua auto, il 19 maggio 2014. Alex compare sulla scena ben dopo, a soccorso: lei piange un tentativo di stupro, dice di essersi solo difesa tirando una coltellata (coltello casualmente in auto) a casaccio. Ma ora i maghi della Cellebrite israeliana di stanza a Monaco di Baviera hanno aperto col loro software costosissimo l’iPhone 5 (sistema operativo Ios 8) del Boettcher, e tutto il contenuto è resuscitato (sistema operativo che, precedente all’Ios 9, è fuori dalla querelle su Apple, la privacy e l’Fbi).

E con l’intero contenuto del cellulare, si rianima la suggestiva ricerca sulla buona evirazione, ma anche l’inseguimento, fra il 3 e il 13 dicembre, dei profili fb degli amici e di Antonio stesso. Dicembre, un mese fertile per Alex e Martina. Lei resta incinta, e l’ordine di lui (lei accetta senza fiatare) è che se femmina si abortisce, se maschio si tiene e se lo tiene lui. Perché lei deve essere punita, e le varie gradazioni del castigo sono declinate in termini vietati ai minori ma anche ai maggiori.

È il crollo di una diga, il telefonino di Alex. Vi contiene la progressione malsana di un rapporto che, nello scoprire le divagazioni sessuali di Martina, fa esplodere il narcisismo ferito del ‘re’: «Ho capito che mi sentivo inferiore a quei coglioni» le confessa, per poi inanellare perle di crudeltà: «...e ti porto a marchiarti». Ma non a parole che restano nell’aria. Fatti, disegnati sul corpo della 23enne il marchio a fuoco di un infinito sui glutei, scarnificazioni su volto e cosce, tatuaggi ingombranti sul pube, una carta geografica di A o di Alex a tutta parola. Settembre-dicembre 2014, mesi fertili e di progettazione degli agguati sugli ex di lei. «Mi ha marchiato Alexander, lui marchia le donne come il bestiame» le dice, perché lei lo riferisca al mondo. Per lei «è un onore». Lei che il 3 dicembre, in un audio lo supplica singhiozzando: «Alex, ti prego, sono giorni che mi impegno...» In cosa si impegnava Martina Levato?

La diga è crollata. Le parti civili, avvocati Roberto Parente, Paolo Tosoni, Chiara Graffer, Andrea Orabona e Benedetta Maggioni, tolgono i sassi uno a uno. La ‘confessione’ di Alex in una chat con un’amica il 15 novembre in cui racconta, rovesciato, l’inseguimento di Giuliano Carparelli, che ha schivato l’acido di Martina. I file cancellati dal pc di Alex, il 5, 6 e 13 gennaio 2015 quando lui è già a San Vittore dal 28 dicembre, fanno rivivere foto di quel Carparelli che Boettcher ha negato di sapere chi fosse. E la foto di Pietro Barbini che finirà sotto il muriatico il 28 dicembre ma con lui finirà anche la saga della banda dell’acido. Tutto cancellato da una manina amica, prove riesumate dai periti delle parti civili, Maria Pia Izzo ed Eva Balzarotti.

​LA DIFESA gli avvocati Michele Andreano e Giovanni Flora, si arrocca sul punto che nel momento degli assalti la presenza di Martina ed Alex non è testimoniata dai loro telefoni, ma la spiegazione dell’informatico incaricato dall’undicesima penale, Mattia Epifani, è lapidaria: un cellulare che non parla, ma non riceve neppure gli aggiornamenti automatici delle numerose applicazioni, è un cellulare spento o in modalità aereo. E nei giorni clou, i telefoni della coppia, sono muti. Parlano, per qualche attimo, alle 4,29 del 2 novembre 2014, quando parte la spedizione contro Stefano Savi. Parlano, poco tempo prima, il 5 e il 19 ottobre in zona discoteca Divina: là c’era Stefano, non Giuliano che stava a New York. E loro cercavano Giuliano. «Fu un errore di persona», disse Magnani: i due si somigliavano troppo.