Cop21, l’accordo sul clima c’è ma è un rebus: "Senza soluzione i veri problemi"

I nodi a Parigi: riduzione delle emissioni e soldi ai Paesi poveri

SMOG L’aria di Pechino coperta da una nube di smog (Reuters)

SMOG L’aria di Pechino coperta da una nube di smog (Reuters)

Parigi, 6 dicembre 2015 - LA BOZZA d’accordo sul clima c’è, ma è così piena di punti non risolti – parentesi quadre, nel gergo diplomatico – che è impossibile dire se l’accordo che con ogni probabilità ne uscirà la prossima settimana sarà decente o aria calda. A le Bourget ieri si respirava un clima di cauto ottimismo. Il gruppo di lavoro creato nel 2011 a Durban per preparare il testo di un accordo globale ha consegnato il suo lavoro al presidente della Cop21 e si è sciolto. È un testo rimarcabilmente snello – 21 pagine "dell’accordo di Parigi" e 27 per la "decisione" che adotta l’accordo nella Convezione quadro su cambiamenti climatici – che passerà ora all’esame dei ministri che dovranno trovare una intesa entro venerdì prossimo. O più probabilmente sabato mattina.

"PASSI avanti sono stati fatti – ha sintetizzato il presidente francese Francoise Hollande –, ma un accordo non c’è ancora. Il compito dei prossimi giorni del presidente della Cop21 e dei ministri e dei vari rappresentanti dei governi sarà quindi trovare un compromesso sui punti più difficili senza che le nostre grandi ambizioni diminuiscano". Cauti gli ambientalisti. "Ci auguriamo che i ministri mirino a una conclusione forte e significativa, in linea con quanto ci suggerisce la comunità scientifica per rimanere entro la soglia di sicurezza di 1,5 gradi centigradi e scongiurare lo sconvolgimento del sistema climatico" osserva Mariagrazia Midulla, responsabile clima del Wwf. "Per come stanno adesso le cose – osserva Martin Kaiser di Greenpeace – noi diciamo: siamo ottimisti sull’iter, meno sui contenuti. Proprio adesso le nazioni che producono greggio e le multinazionali del fossile stanno complottando per far fallire i negoziati quando arriveranno i ministri, depennando dal testo le parole che impegnerebbero il mondo verso una piena decarbonizzazione".

Di sicuro nelle 21 pagine del testo dell’accordo una cosa manca clamorosamente: impegni quantificati e legalmente vincolanti sull’esempio di quelli del protocollo di Kyoto. Ci saranno probabilmente parti del testo legalmente vincolanti, ma non i target. L’articolo 2 bis parla infatti di "contributi nazionali" e chiarisce che "l’impegno dei Paesi in via di sviluppo dipenderà da quello dei Paesi sviluppati anche in termini di finanza e trasferimento di tecnologie".

QUI 100 milioni di dollari all’anno dal 2020 per i Paesi in via di sviluppo che l’accordo di Parigi riconferma, ma dei quali per ora se ne sarebbero trovati, con promesse, non oltre 63-65. Anche l’articolo 3 comma 2 parla di "impegni individuali" di mitigazione e comunque è tutto in parentesi quadre: 7 parole e ben 20 parentesi. Anche la parte degli impegni di lungo termine è tutta da decidere perche parla di riduzioni "XY" comparate "ai livelli del 20..." (quindi scompare il riferimento al 1990, anno base delle negoziazioni climatiche, con implicito ammorbidimento dello sforzo) "entro il 2050" e il raggiungmento di emissioni zero "entro il 2060-2080". Cassata – pare grazie al pressing dell’Arabia Saudita – anche la proposta di una revisione degli impegni nazionali volontari prima del 2020, data di entrata in vigore dell’accordo. Si resta con gli impegni volontari attuali che, carte alla mano, garantiscono un aumento delle emissioni del 41% al 2020 e del 45% al 2030 (emissioni già crescite del 56% dal 1990 al 2013) e un riscaldamento a fine secolo di 2.7 gradi.

L’OBIETTIVO dei "contenere ben sotto i due gradi" il riscaldamento, previsto all’articolo 2 (o di 1.5° C, pure nel testo come opzione) resta allo stato una pura aspirazione, senza strumenti per raggiungerla che non siano un fantomatico progresso tecnologico o la divina provvidenza.