Giovedì 25 Aprile 2024

Consorte: movimento senz’anima. "Alla guida una casta di mandarini"

Il manager ex Unipol: «Sistema coop? Alleanze logore, poco ricambio»

Giovanni Consorte (Fotoschicchi)

Giovanni Consorte (Fotoschicchi)

Bologna, 31 marzo 2015 - Giovanni Consorte, le piace il ruolo di Cassandra? Pochi mesi fa lei aveva messo in guardia: il mondo cooperativo è a rischio, coop troppo grandi e assenza totale di controlli. Ieri l’ultima inchiesta, sulla Cpl di Modena...

«Sono un po’ amareggiato, quest’inchiesta colpisce persone che conosco bene e faccio fatica a pensare alla gravità delle cose che si leggono. È vero che ormai tutto è plausibile, ma siamo in una fase talmente iniziale per esprimere giudizi. Meglio aspettare».

Oltre agli amici della Cpl di Modena, c’è il suo ex amico D’Alema citato negli atti ...

«Non vedo D’Alema da tanto tempo, negli anni ho capito meglio la natura dei rapporti che intercorrevano con lui e il partito. Io non ho mai cercato D’Alema, sono stati lui e Latorre che hanno cercato me, nel periodo dell’operazione Bnl. Così come è stato Fassino a cercarmi, o Bersani. Ammetto che si fa fatica a non rispondere alle telefonate di un segretario o di un leader di partito».

Perché la cercavano quando era al vertice di Unipol? A parte per gridare ‘Abbiamo una banca’.

«Negli anni tra il 2002 e il 2005 ho preparato un progetto di ristrutturazione dei debiti dei Ds. Abbiamo sanato debiti per 300 milioni di euro, salvando il partito e transando con banche e fornitori. Le rivelo un segreto: prima di morire, Paolo Marcheselli, uno dei dirigenti che si occupò della ristrutturazione, lasciò alla moglie tre scatoloni pieni di documenti. Con l’ordine di consegnarli solo a me. Dentro ci sono tutti gli atti notarili e le carte di quelle operazioni finanziarie e immobiliari dei Ds. E soprattutto molte carte su come si erano formati quei debiti milionari».

Cos’è, un messaggio a chi li ha creati, quei debiti?

«Più che altro la prova che ci sono atti pubblici, su chi ha comprato quegli immobili, relazioni anche con il tesoriere del partito, Ugo Sposetti. Ma per quell’operazione di salvataggio nessuno mi ha dimostrato riconoscenza; anzi mi hanno scaricato. Serviva un capro espiatorio per aprire altri capitoli per nuove operazioni, come il Pd e Antonveneta».

Oltre ai Ds, non salvò anche coop che rischiavano il crac?

«Fino al 2005 abbiamo ristrutturato tantissime cooperative in difficoltà, prima tra tutte la Cmc. C’era un dogma operativo che ci guidava: non si possono resuscitare i morti, ma salvare i moribondi sì. Per questo mi attirai le ire del sistema quando non volli salvare la Coopcostruttori di Argenta, che aveva un miliardo di buco».

Cos’è oggi il sistema cooperativo? E cos’era dieci anni fa?

«Ai miei tempi, al centro del sistema c’era Unipol, non solo come garanzie finanziarie, ma anche come serbatoio di professionalità. Dentro Unipol nascevano progetti di salvataggio, c’erano i manager che li mettevano in pratica e trovavano risorse. Oggi non c’è più questo sistema di alleanze con Cna, Confesercenti, Cgil, Cisl, e anche di valori, tutto interno. È il primo dei problemi».

Il secondo?

«Le coop hanno un problema di capitali, non possono ricorrere al mercato anche se sono sane. Inutile pensare ai 14 miliardi di euro di prestiti dei soci delle cooperative di consumo, un’anomalia finanziaria non soggetta a controlli, nemmeno di Bankitalia. Prima Unipol ti metteva al riparo dagli assalti delle banche. Se qualcuna si dimostrava aggressiva, tutto il sistema si ribellava. Così avevi tempo per curare i tuoi guai. Oggi ogni coop è lasciata a se stessa».

Le faccio un elenco: viadotti crollati in Sicilia, lotti sospetti sulla Salerno-Reggio, appalti di Expo, Tav a Firenze, Mafia capitale. Solo negli ultimi mesi sono tante le coop sotto inchiesta...

«Negli ultimi 6 anni la crisi è stata talmente pesante che a quella lista potrei aggiungere tante imprese private. Il vantaggio di essere coop si è assottigliato. Pensare ai benefici fiscali quando chiudi i bilanci in perdita fa sorridere».

Le coop hanno perso anche la capacità di eseguire bene i lavori, come nel caso del viadotto.

«È la logica del massimo ribasso. Quando lavori sotto il prezzo di costo, devi risparmiare su tutto per rientrare. I margini si assottigliano e sei costretto a fare qualunque cosa per salvare l’azienda».

Non c’è anche un problema di manager e di dirigenti?

«Forse è il più grosso. A guidare le cooperative ci sono persone che sono al vertice da decenni. Si è creata una casta di mandarini della cooperazione, spesso improvvisata, una struttura di potere che opera con deleghe in bianco. Chi ha il potere per decenni, quando è in difficoltà, perde la testa e fa anche cose che non dovrebbe fare».

Le coop rosse come potrebbero ritrovare l’anima?

«Mandando in pensione la classe dirigente e lasciando spazio ai giovani. E poi ricreando un sistema di valori di impresa, ma non legandosi a nessun partito. Oggi nelle coop ci sono dirigenti messì lì dal Pci e dal Psi, partiti che non esistono più. Che senso hanno, ancora?».