T-shirt rossa non trionferà

Beh, questa è grossa: un battaglione di sindaci contro un magistrato. Stato contro Stato. Per carità, in modo istituzionale, motivato. Mica come quei maleducati che hanno mandato a quel paese il dottor Ghini e la sua decisione di lasciare libero un giovane pakistano che aveva abusato di un disabile di 13 anni. Colpevole, certo, ma tanto, tanto collaborativo da essersi quasi posto da solo ai domiciliari. Per espiare. E da aver chiesto addirittura scusa. In un mondo in cui l’educazione non è più di moda, anche questo ha un valore. O no? Il sindaco di Reggio Emilia, dove la vicenda si è consumata, però non l’ha presa bene. E con lui in pratica tutti i sindaci della Provincia. Per loro, la classifica è diversa: prima i bambini, gli sforzi che fanno le istituzioni per proteggerli, poi i violentatori. Vuoi vedere che hanno ragione! Poi uno dice: così delegittimate la magistratura. Vero. Infatti, non ci sarebbe bisogno: ci pensano già da soli a colpi di Ghini. Ma quando ti trovi di fronte a episodi come questi, un po’ ti va il sangue alla testa. Anche se è vero che siamo al primo grado di giudizio e tutto è ancora emendabile. Certo. Ma perché partire con il piede sbagliato. Sciancato.

Se uno violenta un bambino disabile, lo vogliamo tenere in galera per far sapere in giro che questa roba, robaccia, non si fa? Lo vogliamo rinchiudere per impedire altre imprese dello stesso, disgustoso genere. Se il colpevole (reo confesso) è per di più, un richiedente asilo, cittadino di quel mondo di mezzo in cui oggi lo trovi, e domani è sparito, vogliamo avere un’attenzione in più riguardo alla sua custodia e alla sicurezza dei nostri figli, dandogli intanto asilo in galera? Razzista? No, realista. Per farla breve: il magistrato reggiano ha preso una decisione talmente strampalata da essere riuscito a far andare tutti fuori dai gangheri più nei suoi confronti che contro il violentatore. Impresa storica. A cui ha indubbiamente contribuito il fatto che il dottor Ghini si è presentato in udienza con una smagliante maglietta rossa. Più stile bagnino di salvataggio, che giudice. I soliti formalismi? Assolutamente sì, perché in un’aula di tribunale anche la forma è sostanza. Neppure un imputato dovrebbe vestirsi come un bay watch, figuriamoci chi lo deve giudicare. Insomma, siamo certi (?) che ci sarà una rapida retromarcia. E che maglietta rossa non trionferà.