Il silenzio di Bruxelles

Roma, 21 settembre 2017 - Il referendum leghista sull’autonomia della Lombardia e del Veneto è così privo di contenuto da non impensierire lo Stato nazionale e, dopo il sì del Pd, sfiorerà l’unanimità senza spostare di un centimetro i rapporti tra il nord est e Roma. I dubbi riguardano la partecipazione e l’utilità di una spinta autonomista per un Salvini impegnato a convertire la Lega Nord in Lega Nazionale. Tutt’altra musica si suona in Spagna e Catalogna sempre più vicine al baratro nel silenzio glaciale delle istituzioni europee. «Il referendum è illegale», tuona Rajoy e la polizia arresta chi lo organizza e sequestra le schede elettorali. «Voteremo comunque», gridano nelle strade gli indipendentisti che peraltro non hanno alle spalle la maggioranza assoluta dei catalani.

Certo, autonomia e indipendenza regionali non competono a Bruxelles. Eppure, dalle istituzioni comunitarie era lecito aspettarsi almeno una moral suasion per conciliare le parti in conflitto. Trincerarsi dietro la non ingerenza negli affari interni di uno Stato membro torna comodo, ma è un’ipocrisia pericolosa. La sovranità perduta dagli Stati nazionali non si trova né a Bruxelles né nelle regioni. Gli attori che oggi assistono in silenzio al rischio che corre la pace civile nella quarta potenza europea sono gli stessi che esercitano un occhiuto controllo dei bilanci degli Stati. Quel silenzio conferma che a Bruxelles non si fa politica, si fanno i conti.

A Madrid e a Barcellona, uscita di scena la politica, ci si illude che il diritto risolverà la crisi. Senonché il diritto, per imporsi, deve ricorrere alla forza, affidarsi ai manganelli e alle manette della Guardia Civil. Forse la forza prevarrà, ma fomentando il risentimento degli indipendentisti rischierà quella reazione violenta che finora è stata scongiurata.