Giovedì 25 Aprile 2024

Ragion di Stato

NEGLI ANNI Settanta venne chiamata realpolitik. Alla tedesca, perché tedesco di nascita era Henry Kissinger. Sotto Nixon fu consigliere della Sicurezza. Sotto Ford segretario di Stato. E il suo realismo politico consisteva nell’impostare i rapporti internazionali sulla base delle convenienze, degli interessi, degli obiettivi più che sull’ideologia, sui presupposti etici, sulla nozione di giusto e sbagliato. Insomma fare quel che avrebbe portato vantaggi alla nazione nel suo insieme.

Fu così che gli Stati Uniti aprirono alla Cina comunista ancora permeata dai furori della rivoluzione culturale.

Ebbene quel che ha deciso ieri il governo italiano è un altro caso di realpolitik. Ritorna al Cairo un ambasciatore nella persona dell’abile Giampaolo Cantini. Eppure su Giulio Regeni ne sappiamo quanto prima, vale a dire nulla.

Ma sono passati diciotto mesi dalla sua morte e l’Egitto è per noi troppo importante, sia strategicamente che economicamente, per continuare a fare il viso dell’armi.

La famiglia è «indignata». Comprensibile. Altrettanto comprensibile è che Gentiloni faccia quello che è nel nostro interesse: ridare la priorità al pragmatismo e in primo luogo aggiustare i rapporti con Haftar. È lui, il generale libico, l’uomo forte della Libia post-Gheddafi. E non, come pensava Renzi, l’impotente Serraj. Da Tobruk e non da Tripoli dipendono i contratti petroliferi dei nostri imprenditori e il contenimento del traffico umano che ci sommerge.

Haftar è uomo di Al Sissi, presidente egiziano. Questo spiega l’annuncio di Alfano sul riallacciamento delle relazioni diplomatiche nel momento in cui per salvare la faccia si rilanciano le inchieste bilaterali su Regeni. In realtà il tempo delle emozioni e delle fiaccolate è esaurito.

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