Rischio retorica

A me ‘sta cosa della pizza patrimonio dell’Unesco fa ridere. E non per la pizza, che considero un patrimonio dell’umanità, ma per l’Unesco. Esiste davvero qualche funzionario pagato dall’organismo creato dall’Onu (cioè l’ente che dovrebbe occuparsi della pace nel mondo) che ha passato tempo e impiegato risorse a valutare se l’arte del pizzaiolo fosse da tutelare? Immagino i seriosi funzionari internazionali – mentre il mondo in fiamme è sull’orlo del conflitto nucleare – a passeggio per Napoli, farsi largo tra scugnizzi in motorino e venditori di ogni genere, nonché tra capolavori d’arte e carità impareggiabili, e valutare con sussiego se quel pizzaiolo o l’altro abbiano l’arte da tutelare. Non ci voglio credere. Ma dev’essere andata più o meno così. Certo l’arte del pizzaiolo – napoletano o egiziano che sia – è uno dei conforti che il buon Dio ha mandato in terra per i nostri anni «infausti e brevi» come diceva il Leopardi napoletano d’adozione. Ma occorreva davvero il timbro di un organismo internazionale di così gran nome – pur se acciaccato da recenti risoluzioni o inazioni politiche discusse? Non è che a furia di indicar cose da tutelare (colonnati antichi e pizze, scavi archeologici e artigiani) si finisca per fare un po’ quel che la mia nonna chiamava un ‘mischione’ un po’ inutile? Siamo un’epoca ammalata di retorica, intendendo la nobile arte della parola nel suo senso peggiore, di parole usate a vuoto, inutilmente, giusto per vanità o per produrre brevi effetti. Vorrei che l’arte del pizzaiolo e lei la pizza che porta tutti i nomi, dalla Regina Margherita alla più povera delle saracene, fosse sì tutelata. Ma dal Fisco e da coloro che invece spesso rendono la vita più dura ai pizzaioli e a noi, mangiatori di pizza.