Fotografia dell'Italia

Le hanno scattate a Modena quelle foto ma, chissà, avrebbero anche potuto essere fatte al centro di accoglienza di Mineo, il Cara più grande d’Europa dove, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta che l’ha più volte visitato, «le condizioni igienico-sanitarie sono precarie, gli appartamenti fatiscenti, gli ospiti non ricevono i prodotti per la pulizia, il servizio medico è deficitario». Quelle foto avrebbero potuto essere scattate anche in più di una delle migliaia di strutture che ospitano i circa 180mila migranti attualmente ospitati nel sistema di accoglienza italiano. Sarà brutto e soprattutto sbagliato generalizzare, ovvio, ma sarebbe altrettanto brutto e cieco chiudere gli occhi e dire che Modena è un’eccezione. Sono troppe le inchieste giudiziarie che hanno evidenziato maltrattamenti, disfunzioni, anomalie e falle di un meccanismo messo in piedi in tutta fretta e tenuto in piedi a suon di miliardi pubblici senza un’effettiva e puntuale verifica sulla sua efficienza.

Lo Stato accoglie migranti e li assegna ai centri preoccupandosi poco o niente di come sono tenuti. Le ispezioni sono scarse e quasi sempre superficiali, il più delle volte gestite da funzionari pubblici – i prefetti – cui la scoperta di eventuali anomalie nel trattamento dei migranti causerebbe più grattacapi che altro. Le cooperative o le associazioni che gestiscono i Cas o i centri Sprar si aggiudicano il bando con il meccanismo del massimo ribasso, e per vincere abbassano così tanto la soglia del rimborso da «dover» tagliare sulla natura del servizio. Un quadro di inefficienze cui il ministro dell’Interno Marco Minniti ha cercato di porre rimedio, varando nel marzo scorso un decreto redatto in collaborazione con l’Anac di Raffaele Cantone in cui si mettono paletti rigorosi nella gestione. Una piccola svolta che porterà i suoi frutti, ma casi come quelli di Modena mostrano quanto ancora sia lunga la strada da fare.