La vivacità al potere

Dove stavamo quarant’anni fa i bambini iperattivi che oggi vanno dallo psicologo e prendono le medicine? Li ritrovo sullo sfondo arancione dell’estate. In pantaloncini di spugna e canottiera attraversano i campi bruciati dal sole. Hanno gambe magre con i segni dell’ortica, capelli mescolati al fieno. Vanno in cerca di «fadettes», i fantasmi dell’imbrunire che i grandi scambiano per papaveri. Corrono dietro ai cervi volanti, inventano voliere per le lucciole. Si attaccano al sonno come a una pompa di benzina e all’alba bevono latte di mucca appena munto. Poi scappano sugli alberi a contare i rintocchi del cuculo, raccolgono erbe magiche, danno il tormento ai contadini. Nei pomeriggi di vetro dell’inverno possono stare in cortile finché la nebbia si ghiaccia sulle ciglia. Si spostano come stormi sui pattini a rotelle, giocano a guardie e ladri, a mondo, a palla avvelenata. Hanno fame, hanno sete. Fanno le scale a piedi. Nei corridoi tirati a cera scivolano sulle pattine, provano lo svallicamento dorsale del Fosbury sul divano, allagano il bagno con il tuffo a bomba. Dopo cena un padre senza contapassi li spalma di Autan o li avvolge di lana, a seconda della stagione, e li porta alle luci sul fiume o ai suoni di una milonga all’aperto.  I compiti li sbrigano da soli e la tipica sentenza «è bravo ma non si applica» viene presa per un complimento, pensa se si applicasse. Sono disattenti, distratti, ingestibili come terremoti. Quando esagerano una nonna dice che hanno i vermi. Ma fa tutto lei, non c’è bisogno del dottore. Perché sono bambini e la vita gli scappa da tutte le parti. La tivù ancora in bianco e nero presa in dosi omeopatiche serve per farsi venire altre idee. Non ci sono pc, tablet, smartphone ma tutto un mondo da sfidare dal balcone a colpi di cerbottana. La sindrome del prigioniero arriverà quando le case si trasformeranno in prigione, i genitori e i maestri in gendarmi. Allora più staranno fermi e più saranno preziosi e sani, come le statuine di porcellana che una volta sbriciolavano con un calcio di rigore sbagliato fra la cucina e il Maracanà.