La vita manipolata

UNA CALUNNIA ROVINA LA VITA: infama o manda in carcere innocenti, che restano marchiati anche dopo scagionati. Quando l’accusa infondata è pedofilia, e la «pistola fumante» è la dichiarazione delle piccole vittime, solo tardi rivelatasi falsata dalle suggestioni o pressioni di qualche genitore, l’innocente poi liberato è già fortunato per aver scampato il linciaggio in cella. Dove languiva dal 2015 De Sario, ora scarcerato perché il figlio accusatore, divenuto maggiorenne, finalmente confessa la menzogna impostagli dalla madre. Fu memorabile il caso della scuola di Rignano Flaminio (2007): 21 bambini, 400 testimoni, 80.000 euro di perizia, cinque imputati arrestati, fra i quali l’autore televisivo Scancarello, novello Tortora, con la cui testa gli altri detenuti anelavano a «giocare al pallone». Tutti poi assolti per «non aver commesso il fatto», rivelandosi suggestionate dai genitori le accuse dei bimbi.

COSA RISCHIA chi manipola gli infanti accusatori? In teoria, l’incriminazione per calunnia. In pratica, quasi nulla per intervenuta prescrizione: che da noi decorre dall’atto del calunniante, e non dalla conclusione del processo a carico del calunniato, come nel più corretto modello spagnolo. Pedofilia a parte, come la mettiamo quando le accuse infondate sono frutto delle indagini difensive in caccia di colpevoli alternativi? È il caso di Sempio, accusato a torto per scagionare Stasi dall’omicidio di Chiara Poggi. Con querele incrociate fra gli avvocati, che disputano sulla liceità del dna clandestinamente acquisito come prova. Cosa che le indagini difensive non potrebbero fare: si rischia, quando non la calunnia, quantomeno il reato di trattamento illecito di dati personali.

I guerrieri masai insorgono contro le foto non autorizzate, perché rubano l’anima. Figuriamoci se si carpisce il dna.