Giovedì 18 Aprile 2024

La poltrona per due

Paolo Gentiloni si è schierato apertamente a fianco di Matteo Renzi nelle primarie di domani. La cosa ovviamente non ha entusiasmato né Michele Emiliano né tantomeno Andrea Orlando, che è il competitore più vicino. Eppure era una mossa scontata e doverosa. Gentiloni è a palazzo Chigi su indicazione di Renzi e – una volta tornato a essere il segretario del Pd – l’ex presidente del Consiglio diventerà l’azionista di riferimento del nuovo. Renzi è stato sempre convinto che un primo ministro può agire efficacemente soltanto se è anche leader del proprio partito. Come accade in Inghilterra, in Francia, in Germania e in Spagna. Già fa fatica, perciò, a immaginarsi in una tolda di comando che tenga separato il Nazareno da palazzo Chigi. Si aggiunga che tutti i ministri del governo Gentiloni – tranne Alfano, Lorenzin e Galletti – sono membri del Pd. È difficile pertanto che il segretario del partito non eserciti una forte influenza sull’esecutivo, sia pure in un ragionevole rispetto delle prerogative del presidente del Consiglio e dei singoli membri del gabinetto. Il problema è che tra un anno, al massimo, ci saranno le elezioni generali. Qui la politica di un segretario politico, che pensa ai voti, può divergere sensibilmente da quella di un governo, che deve farei conti con il bilancio e con i vincoli europei. Pier Carlo Padoan, per esempio, avrebbe aumentato l’Iva e destinato il denaro ricavato a ridurre il costo del lavoro per le aziende (‘cuneo fiscale’), d’accordo con Confindustria. Renzi la pensa esattamente all’opposto: considera l’aumento dell’Iva recessivo (d’accordo con Confcommercio) e vuole in ogni caso diminuire le tasse non alle imprese (l’ha già fatto riducendo da quest’anno l’Irap), ma alle famiglie. Si capisce perché – una volta fatta la legge elettorale – Renzi vorrebbe andare subito al voto…