Giovedì 18 Aprile 2024

La cura choc che ci serve

Roma, 7 dicembre 2016 - Forse siamo in presenza di un grande equivoco. Anzi, di più d’uno. Partiamo dal primo, il più evidente nel dibattito politico. Se guardiamo infatti alla prospettiva delle elezioni, vediamo che quelli del No sono convinti di poter contare sul 60% dei voti, sul vento in poppa, mentre quelli del Si credono di partire da una base del 40, e quindi di poter ambire al successo. Solo così si può spiegare la preferenza diffusa e trasversale per il voto anticipato anche con questa legge già in via di rottamazione, e un tempo giudicata addirittura liberticida (Grillo). Insomma, tutti, salvo le forze che hanno più bisogno di tempo (Forza Italia ancora in cerca d’autore e di alleati, e la minoranza Pd nella speranza di diventare maggioranza) credono di poter monetizzare subito il proprio successo. Persino quelli che nell’insuccesso cercano di vedere il bicchiere pieno al 40 per cento. Bene, se questa lettura ha un minimo di sostanza, una cosa si può dare per certa: fino al 4 dicembre i partiti (tranne forse i 5Stelle) sembravano scollati dalla realtà, ma oggi ce ne forniscono una clamorosa conferma. Perché pensare che il voto referendario sia stato qualcosa di diverso da un referendum su Renzi, è volersi raccontare la favoletta della Costituzione violata e della sua difesa.

PERCHÉ credere che il voto sia stato solo politico, e non anche e soprattutto sociale, di disagio diffuso, profondo, sta proprio in uno dei motivi della sconfitta di Renzi, narratore di un’Italia felice che non c’è. Anzi. Ed è questo il secondo, e non meno grave equivoco messo a nudo dagli analisti più attenti. Da cui discende che si può votare a stretto giro (ammesso che sia tecnicamente possibile) o fra un po’, ma se non sottoponiamo il Paese a un elettrochoc, qualunque nuovo potere genererà immediatamente una ripulsa, un antipotere. Come è capitato a Renzi, dopo appena due anni e mezzo a Palazzo Chigi. E l’elettrochoc non può essere dato né al cervello, né alla pancia, ma solo alla tasca. Con un taglio netto delle tasse. Con un’aliquota massima al 30-35%, con un’imposizione del 15-20% per le imprese. Con gli inevitabili tsunami a breve: debito, spread... Ma anche con la certezza di benefici duraturi, strutturali, a medio e lungo termine. Come in Irlanda, Portogallo, come sarà in Usa e Inghilterra. Se no, sarà solo protesta, rivolta. E altra miseria.