Mercoledì 24 Aprile 2024

Diritti a intermittenza

Roma, 22 settembre 2017 - Nell'arco di una settimana, la prossima, la geopolitica in Medio Oriente e in Europa potrebbe ritrovarsi sovvertita. Lunedì voteranno i curdi iracheni. Domenica 1 ottobre dovrebbero votare i catalani. Il motivo è lo stesso: l’indipendenza. Se poi si considera che il 22 ottobre si voterà anche in Lombardia e Veneto, seppur non per l’indipendenza, ma solo per una maggiore autonomia amministrativa, si comprende come non siano casi isolati.

Questo autunno referendario riflette l’aspirazione dei popoli di antica identità storica. Quelli che non si sentono rappresentati dai poteri centrali. E dato che il diritto all’autodeterminazione è solennemente consacrato all’articolo 1 della carta dell’Onu, ci si dovrebbe limitare ad attendere l’esito delle consultazioni. Invece che accade? Il governo di Bagdad minaccia spedizioni punitive. Gli Usa fanno sapere che «non è il momento». Prima eliminare l’Isis, alla cui disfatta tanto hanno contribuito i peshmerga. Turchia e Iran temono il contagio e accentuano la repressione sulle locali comunità curde.

Analoga la reazione di Madrid sulla Catalogna. Minacce, arresti, sequestri di schede a Barcellona. Il referendum sarebbe incostituzionale. E così la pensano molti governi europei. Che memoria corta! Proprio sulla base del diritto all’autodeterminazione presero le parti del Kosovo quando nel 1999 si ribellò alla Serbia. Eppure il Kosovo non aveva tenuto alcun referendum. Come invece la Crimea, prima di abbandonare l’Ucraina e farsi annettere dalla Russia. Pacificamente. Non con una guerra come quella lanciata dalla Nato contro la Serbia. E dimenticano i casi della Cecoslovacchia, della Yugoslavia e domani della Scozia.

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