Il bisogno di lieto fine

GUARDATE il sorriso del vigile del fuoco mentre tira su il bambino, quei denti che scintillano in mezzo alla barba. È il vostro, è il mio. È l’espressione di gioia pura che accompagna le nascite e torna – sempre troppo di rado – a ogni rinascita. Una brutta diagnosi che però era sbagliata. Una montagna di neve che da bara diventa incubatrice. Abbiamo un disperato bisogno di miracoli. Di buone notizie inverosimili, più assordanti di quelle cattive. È vivo, sì. Esce dall’altro mondo con una tutina verde, forse un pigiama, e cambia la temperatura del pianeta.

È VIVO e va toccato con piccoli colpi sulla testa, per accertarsi che non sia un sogno e perché di sicuro porta bene. Viene con sua madre dal profondo e scioglie la nostra claustrofobia, si stende sulla barella e ci permette di scivolare con lui sotto la coperta termica. È la preghiera esaudita, la felice contraddizione di un racconto in cui ci siamo abituati a fare a meno del lieto fine. Vorremmo ogni tanto che le chiavi perdute fossero in fondo alla tasca di un cappotto. E che la pietra su cui inciampiamo ci facesse ritrovare la strada. Abbiamo un disperato bisogno di ridere insieme e non di stare insieme per piangere o lamentarci o dare la colpa a qualcuno che sta dall’altra parte. Di festeggiare perché la vita si impone con prepotenza sulla morte.

CI MERITIAMO un regalo. Qualcosa che non riguardi voi, me, il vigile del fuoco dai denti bianchi ma l’umanità intera, questo equipaggio in rotta di collisione con le stelle che fa lo stesso viaggio ma se ne accorge solo quando tutto sembra perduto. Il rumore delle motoseghe non rovina l’effetto incantato, quel salvataggio va rivisto mille volte per ripensare alle priorità. Al primo posto i miracoli. Certamente. In questo momento è vietato accontentarsi e tornare a pensare al peggio per abitudine.