Mercoledì 24 Aprile 2024

I timori del Quirinale

AL COLLE più alto, quello del Quirinale, si è vigilato, con il necessario scrupolo, ma senza eccessiva premura né enfasi, sulla questione della data del referendum costituzionale. Il referendum, infatti, recita la legge 352/1970, “è indetto con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri”, ma – spiegano al Colle – la firma di Mattarella è istituzionale, la decisione politica è tutta del governo. Ancora si ricordano, con qualche disappunto, le polemiche pre-estive di alcuni esponenti dell’opposizione (Brunetta) che pressavano con dichiarazioni quotidiane Mattarella perché chiedesse a Renzi di fissare “al più presto” la data del referendum. Venne risposto, con pacatezza ma anche con fermezza, che non spettava al Colle decidere. Il Capo dello Stato, ovviamente, vigila sempre affinché tutte le procedure vengano sempre rispettate, ma solo nei loro termini minimi (60 giorni per indire) e massimi (tra i 50 e i 70 giorni per celebrare). Entro questi limiti temporali, il Colle non avrebbe potuto, né ha avuto, nulla da eccepire. Solo se fossero stati violati, sarebbe subito intervenuto. Eppure, si sa anche quale sia, da mesi, il cruccio del Colle: se vincesse il No e Renzi si dimettesse da premier o, comunque, ne venisse incrinata autorevolezza e autorità nella sua maggioranza e nel suo partito, in quali marosi finirebbe il Paese? Ecco, dunque, la richiesta a Renzi nella classica forma della moral suasion: assicurare al Paese il varo, in almeno uno dei due rami del Parlamento, della Legge di Stabilità del 2016. Richiesta rispettata da Renzi anche perché assai conveniente per gli interessi del premier che, così, avrà da spendersi anche la legge Finanziaria. MA le preoccupazioni di Mattarella sono e restano ben altre, di sistema: evitare spaccature e strappi traumatici nel tessuto politico e sociale del Paese. Non a caso, in questi giorni, Mattarella ha ricordato prima Aldo Moro, suo maestro e faro di pensiero e scuola politica, che «lavorava per favorire il dialogo tra i partiti», anche quelli più lontani tra loro, e poi il socialista Sandro Pertini, rievocandone l’impegno per «il bene comune e l’unità del Paese». Mattarella guarda alla tenuta del sistema: se fosse messo a dura prova, o a repentaglio, dalla vittoria del No come del Sì, agirebbe con forza e rapidità per evitare crisi lunghe e laceranti per il Paese.