I segni della follia

Una bellissima persona, dicevano di lui. Uno che amava i bambini e cancellava qualsiasi ipotesi fosca sulla nostra specie, nella quale si rintraccia una percentuale costante di psicopatici. L’umanità di cui rappresentavano un campione significativo – upper class di province privilegiate – al loro passaggio sembrava sana, ricca e longeva come non mai. Però intanto qualcosa si rompeva nel silenzio della bella casa all’ultimo piano. Forse un delirio individuale. O magari il relitto di un incubo collettivo, quel sentirsi sull’orlo della retrocessione sociale nonostante i soldi perché è facile sbagliare due conti e rotolare in cantina. A che punto si smette di essere una famiglia modello? Quali sono i parametri? E soprattutto: chi li ha stabiliti?

Se uccidere due figli su tre e poi gettarsi in una scarpata è semplice follia il discorso è già chiuso: percentualmente la maggioranza che abita nei mulini bianchi si trova al sicuro. Ma se la strage con suicidio nasce come reazione sproporzionata a uno stato di inquietudine democraticamente spalmato dal Darfour a Trento, auguriamoci di cogliere in tempo i segnali. "Hai gli occhi strani, tutto bene?". Anche Jean-Claude Romand era considerato un uomo mite e affettuoso. Il 9 gennaio 1993 uccise la moglie e i due figli, il giorno dopo ammazzò i genitori e infine incendiò la propria casa tentando senza successo di ammazzarsi. Si scoprì che per 18 anni aveva vissuto dentro un film parallelo, dove non si era mai laureato in medicina e non lavorava come ricercatore all’Oms di Ginevra. Emmanuel Carrère ha costruito attorno a quella storia vera un bellissimo romanzo ("L’avversario"). Sulle mostruosità letterarie della vita è necessario vigilare.