Segreti rivelati ad arte

Roma, 28 giugno 2017 - Le violazioni del segreto di indagine sono moneta corrente nella cronaca giudiziaria italiana ma l’iniziativa giudiziaria in merito è come minimo molto carente. Non sarà un giornalista a lamentarsene, anche perché le poche volte che sono state erogate sanzioni, a patirne sono stati cronisti e direttori. Eppure nessuno di loro era accusato di aver rubato atti giudiziari. Qualcuno doveva pur averglieli dati, ma a memoria d’uomo non si ricorda di un pm indagato per violazione del segreto. Tutto ciò per dire che l’iniziativa della procura di Roma nei confronti del pm napoletano Henry John Woodcock è significativa in sé, al di là della importanza dell’inchiesta cui si riferisce e della notorietà del magistrato che ne è oggetto.

Naturalmente bisognerà seguire gli sviluppi anche di questa indagine, occorre tenere conto delle varie versioni. Un fatto è certo però. Tutti gli atti dell’inchiesta Consip finiti sui giornali erano nei fascicoli della procura di Napoli, non di quella di Roma, e a beneficiarne in massima parte è stata una unica testata. La possibilità di una sinergia fra un ufficio giudiziario e un giornale non fa una bella impressione. Il fatto poi che alcune indiscrezioni riguardassero atti poi rivelatisi manipolati non ha certo giovato all’immagine dell’inchiesta napoletana. L’attuale procuratore romano Giuseppe Pignatone ieri ha segnato, nella gestione del suo ufficio, un altro atto di discontinuità da non sottovalutare. Sarebbe sbagliato leggerlo in una chiave «politica».