Diplomatica incertezza

Roma, 17 agosto 2017 - «Solo dopo la verità l’ambasciatore potrà ritornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità». Così, a caldo, i genitori di Giulio Regeni. Non solo la dignità della famiglia, incalzano Amnesty e Antigone, ma anche dell’Italia. Tenendo poi conto dell’enfasi che giustamente abbiamo sempre dato ai diritti umani, dopo 18 mesi di esercizio egiziano dell’arte dell’anguilla, altro non possiamo fare che dar loro ragione.

Ma va anche rilevato che, sinora, non abbiamo registrato alcuna autocritica alla nostra attività negoziale. Ci sono davvero passi avanti? Non lo sappiamo. Però, c’è da osservare che l’assenza dell’ambasciatore non ha prodotto alcunché di utile: né per la soluzione del caso Regeni, né nel più ampio contesto della crisi che ci coinvolge in Libia e altrove. È proprio così peccaminoso pensare che la presenza in sede di un diplomatico di provata esperienza del calibro dell’ambasciatore Cantini possa essere utile per avviare a soluzione entrambi i problemi? Forse no, ma certamente non è bello. Saggiamente, Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina, in epoca non sospetta, aveva osservato che non c’è una via giudiziaria per la triste vicenda, perché il governo egiziano non l’ha voluta rendere percorribile. «L’unica cosa da fare è lavorare con la politica e la diplomazia». Il caso ‘ambasciatore’ scoppia a Ferragosto, ma la decisione di inviare al Cairo Cantini al posto di Massari, destinato a sostituire a Bruxelles l’attuale ministro Calenda, era stata presa con velocità renziana già a maggio dell’anno scorso. Ma la fretta e l’irruenza sono cattive consigliere. Qual è stato il vero errore, inviare l’ambasciatore oggi o toglierlo l’anno scorso?