Fine di una stagione

Roma, 26 settembre 2017 - Addio al merkelismo. La Germania diventerà trumpista? Trump è di origine tedesca e dunque non c’è nulla di strano se il quarto partito del futuro Bundestag adotta il suo stile politically incorrect. Ma al di là dello stile la prima evidente novità è il recupero di realismo come nell’America postobamiana. La prima a fare autocritica è proprio Angela Merkel. Ha già preannunciato: la nostra politica dell’immigrazione cambierà. Come? Presumibilmente limitando o negando gli ingressi, nel solco del deprecato trumpismo. Basterà a riagganciare la protesta dopo l’incubo vittorioso? Troppo tardi. Solo domenica sera si è accorta di avere riscatenato i nazionalismi. In casa e fuori. Ma è da anni che in Olanda, Francia, Austria, Polonia, per non parlare della Brexit, la sua presunzione (‘Wir schaffen das’) ha acceso reazioni insospettate in Paesi che razzisti non sono mai stati. Come l’Italia.

Di qui la protesta. Popolare, non populista perché difensiva più che discriminatoria. E perché il tasso di prolificità dei nuovi arrivati rischia di snaturare identità culturali ed equilibri sociali. E infine perché i silenzi, le coperture, le giustificazioni di fronte al terrorismo si combinano con la refrattarietà a integrarsi, documentata dal nostro giornale. Il voto tedesco, come quello americano, conferma la centralità della questione migratoria. Se fosse dipeso dall’economia, la Merkel avrebbe ottenuto un plebiscito. Ai suoi connazionali nulla importava che la loro prosperità fosse stata costruita sulla pelle degli altri. Anzi. Strangolasse pure la Grecia. Legasse le mani alla Bce di Draghi. Minasse l’edificio europeo di Helmut Kohl, il padre della riunificazione, il cui unico torto è di averla scelta come successore. Ma quando nell’inverno 2015-2016 i tedeschi si sono visti piombare in casa un altro milione di clandestini e quando le loro città sono state insanguinate dagli attentati, la rabbia si è trasformata in rivolta. E la rivolta ha chiuso una stagione. Come nell’America del dopo Obama.

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