Giovedì 18 Aprile 2024

Divisioni nel dna

I SOCIALISTI si dividevano sempre: da quando è nato il partito, nel 1892, a quando è morto, cento anni dopo. I comunisti non si scindevano mai, da buon “partito chiesa”. Per questi si ricorda una sola scissione, il “Manifesto”, nel ’69, ma erano quattro ragazzi scapigliati che contestavano il centralismo democratico. Più che una scissione fu un benservito comminato da Berlinguer. Poi il muro di Berlino è caduto addosso al Pci e anche qui cominciarono le scissioni. Occhetto fu costretto a cambiare il nome al partito e a rimpicciolire la falce e martello. Cercò invano di tenere tutti dentro. Accanto al Pds nacque Rifondazione comunista con tante anime: gli “uomini di Mosca”, alla Cossutta, e i sindacalisti più radicali, alla Bertinotti. Tre anni dopo Cossutta se ne va.

Nel ’94 la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto si scontra col fallimento elettorale. Dà le dimissioni. Ci prova Veltroni, ma vince D’Alema che gioca il ruolo del grande aggregatore. Prima promuove l’Ulivo, l’alleanza di centro sinistra, anche se mal sopporta di farla guidare da un democristiano, Romano Prodi. Infatti, appena può, gli soffia il posto a Palazzo Chigi. Poi, lascia cadere il termine “partito”, che non va più di moda, per portare nella “cosa2” dei Ds qualche altro spezzone della sinistra. Poca cosa; i post comunisti dominano, ma serve per dire in Europa che i comunisti sono diventati socialisti. Poi Fassino e Veltroni, per i Ds, e Rutelli, per la Margherita, tentano il grande balzo. L’abbrivio viene dalla vittoria, di misura, dell’Ulivo alle elezioni del 2006. L’anno dopo nasce il Pd che somma due ex, comunisti e democristiani. Veltroni lo guida alle elezioni del 2008 e ottiene un buon 33%, ma perde con Berlusconi. Lascia, per pochi mesi, la segreteria a Franceschini. I post comunisti mal sopportano di essere guidati da un post democristiano. Con Bersani il partito si stabilizza. Ma fallisce con le candidature di Marini e di Prodi alle elezioni presidenziali e abbandona. Dopo la parentesi Epifani, arriva Renzi, il rottamatore. Lo scontro è generazionale, ma i post comunisti si sentono in pericolo e non vogliono perdere il controllo del Pd. Lo aspettano al varco del primo fallimento, che concorrono a provocare, il 4 dicembre. Allora gridano: o lui o noi. Pronti ad accomodarsi in un’altra casa, pardon, “cosa”, se vince lui.