Martedì 16 Aprile 2024

Tornelli? No grazie

Di tutto abbiamo bisogno tranne che del numero chiuso per le nostre città d’arte. È il modo più miope per affrontare una questione reale: trasformare il turismo in uno dei motori della crescita del Paese. Basta dare un’occhiata ai numeri per rendersene conto. Nel 2013 hanno viaggiato nel mondo più di un miliardo di turisti. Fra 6 anni diventeranno 1,6 miliardi. Un flusso enorme che, nel 2015, ha prodotto un giro di affari di circa 6500 miliardi di dollari, il 10% del Pil mondiale. Di fronte a questi numeri l’Italia è riuscita ad agganciare 48 milioni di turisti. Troppi? Pochi? Nel 1950, il Bel Paese era il primo Paese al mondo con una quota di mercato pari al 19%. Una percentuale che è scesa al 16% nel 1960, fino ad arrivare al 4,8% nel 2013. La sintesi è che in cinquant’anni abbiamo perso tre turisti su quattro.

Ma l’Italia è ancora al quinto posto fra le mete turistiche mondiali (dopo Francia, Usa, Spagna e Cina) mentre la classifica degli introiti ci vede in settima posizione con 37 miliardi di euro all’anno (più 4,5% nel 2015 rispetto al 2014). Da noi i turisti spendono mediamente meno rispetto a quanto non facciano in Francia o in Germania. Certo, negli ultimi due anni c’è stata una decisa inversione di tendenza, con un forte aumento delle presenze. Ma le ragioni che impediscono all’industria turistica italiana di conquistare il posto che merita nella classifica mondiale sono ancora tante: processi decisionali circolari, norme obsolete, assenza di infrastrutture adeguate, scarsa incisività dell’offerta digitale e innovativa. Sono questi i nodi da sciogliere. I tornelli all’ingresso delle nostre città d’arte significherebbero solo una cosa: condannare l’industria turistica italiana a un nuovo declino.