Giovedì 18 Aprile 2024

Thatcher dimenticata

Dal discorso a Firenze sulla Brexit della premier inglese, cauto e forse imbarazzato, si ricavano almeno tre utili ammaestramenti. La signora May, che nel referendum sostenne l’uscita dell’Inghilterra dalla Ue, si deve essere resa conto che non sarà facile trovare una soluzione ai problemi aperti e che per loro il costo finale sarà comunque salato. Sarebbe stato più saggio fare quello che a suo tempo fece la signora Thatcher: pretendere di ridiscutere i Trattati europei, rinegoziare le clausole sfavorevoli e concordare nuove soluzioni. Vale per l’Inghilterra; vale anche per l’Italia nel senso che, se è sbagliato uscire, è altrettanto sbagliato accodarsi, come molti vorrebbero, alle conclusioni del negoziato sotterraneo che è in corso fra Francia e Germania.

Il secondo ammaestramento è che, per noi che restiamo, l’uscita dell’Inghilterra è un cattivo affare, non solo per l’ovvio motivo che quel paese offriva sbocchi di lavoro ai nostri giovani in settori spesso importanti, come la sanità, le professioni, l’insegnamento universitario. Ma anche perché un’Europa senza l’Inghilterra è un’Europa a trazione tedesca, con tutte le difficoltà che avremo modo di sperimentare. Il terzo ammaestramento è che la democrazia referendaria non è un completamento della democrazia rappresentativa: spesso ne è lo stravolgimento. La vita dei Paesi presenta problemi complessi che non si prestano a essere affrontati con un sì o con un no. I Parlamenti sono luoghi di riflessione meno dominati dalle passioni che possono momentaneamente travolgere le opinioni pubbliche. I referendum sembrano sciogliere i nodi, in realtà li aggrovigliano: vale per l’Inghilterra, vale per la Catalogna, vale per il Veneto e la Lombardia.