Tardivamente, nei turbolenti anni ’70, entrò nella Cee anche il Regno Unito. Gli inglesi erano alle prese con la liquidazione dei resti dell’Impero, un’economia stagnante e una popolazione invecchiata e impoverita. I successi dell’integrazione europea esercitavano un’attrattiva che divenne irresistibile. Le onde della storia assomigliano a quelle del destino: si muovono a lungo in silenzio e in profondità poi generano le svolte. Quella britannica pose fine a secoli di orgoglioso insularismo e completò il mosaico continentale arricchendolo della più antica democrazia liberale con la sua grande storia e la sua proiezione mondialista. Nonostante le divergenze l’intesa ha retto bene per 50 anni sotto lo sguardo benevolo degli Usa, finché la superpotenza protettrice si è indebolita e oggi è finita in mano a un tycoon insensato. Intanto altre onde si erano messe in moto – effetti collaterali della disgregazione sovietica. Le nazioni ex comuniste entrando nell’Unione ne hanno diluito lo spirito e la capacità decisionale mentre la Francia precipitava in una ventennale crisi di leadership. Un’Europa debole politicamente e malata d’ipertrofia burocratica con il varo dell’euro/marco è diventata teatro della supremazia tedesca. La Brexit vuol dire alt all’alienazione della sovranità e alt agli stranieri extra e comunitari. L’errore è credere che la Ue sia la causa e un divorzio ostile e irreparabile la soluzione. Anche il Regno Unito è un’unione di nazioni e Scozia e Nord Irlanda potrebbero cavalcare la stessa onda. Si può arrestare questa deriva? Sì, si può, purché il buon senso prevalga sul senso comune e chi governa non insegua i demagoghi sul loro terreno.
Sabato 20 Aprile 2024
ArchivioUn divorzio ostile