Sabato 20 Aprile 2024

Matteo e Silvio, doppio fallimento

Roma, 16 gennaio 2017 - DI NUOVO si discute di legge elettorale. E di nuovo Silvio Berlusconi è protagonista di accordi per realizzare una legge che gli consenta di rimanere in pista. Il partner di queste manovre è Matteo Renzi, alla ricerca di una nuova centralità. E sembra che, pur di tornare a Palazzo Chigi, o consolidarsi come attore chiave dei prossimi scenari, sia disposto ad adattarsi a governi di grande coalizione. Il suo progetto politico è fallito. Ha dovuto affrontare le forti resistenze ai cambiamenti che aveva promesso, ma non ha saputo mettere in campo gli strumenti culturali, strategici, politici per sconfiggere quelle resistenze. Come il Berlusconi che aveva promesso la rivoluzione liberale e poi si è impantanato nella politique politicienne. Entrambi sono arrivati sulla scena politica provvisti di energia e narcisismo, ma sprovvisti di quelle visioni necessarie per costruire il nuovo e che non si possono ridurre a banali bignami del buon governo e delle buone istituzioni. Come leader «trasformativi» hanno fallito. Ma per l’uno e l’altro «rimanere» pare un imperativo. Questo ci conduce a una riflessione più ampia, sulla mediocrità della politica italiana e del suo ceto politico.

QUEI PROGETTI sono falliti perché non sono sfuggiti al carattere mediocre dei loro strumenti, compresi gran parte delle donne e degli uomini che hanno attorniato i due leader. Non si sono rivelati meno mediocri di chi li ha contrastati, di una politica italiana che dal ’94 ha accolto in grande misura terze e quarte file, varia umanità che ha colto nei vuoti della politica l’occasione per un posto al sole. E che continua a farlo, a qualunque latitudine politica. La ‘mediocrazia’ è stata denunciata come cifra delle società occidentali dal filosofo canadese Alain Deneault, non solo come presa del potere da parte dei mediocri, che mettono le loro competenze, senza idee e originalità, al servizio del gruppo o del capo, che pagheranno fedeltà e conformismo con riconoscimenti e carriere, ma anche come il dominio di «modalità mediocri», ovvero di tattiche volte a «giocare il gioco», senza vocazione, passione, spirito critico.

LA SOCIETÀ e la politica italiane, strutturalmente fragili, esprimono in modo radicale questo fenomeno. Come esprimono in modo altrettanto estremo la deriva narcisistica delle nostre società, dove l’autopromozione è divenuto il nuovo, vacuo, imperativo; vacuo perché ad essere promossi non sono il talento, l’idea, la competenza, ma solo l’ambizione. «L’arena politica – ha scritto lo psichiatra e psicologo Jerrold Post – produce un’attrazione magnetica sugli individui che ambiscono ad essere sotto i riflettori, ammirati, considerati speciali». Ed ecco che assistiamo nella nostra politica a tanti ambiziosi narcisisti, inconsapevoli dei propri limiti e spesso della propria «mediocrità», che si lanciano in ambiziosi progetti, accorrono a nutrire le corti del leader di turno o cercano di emergere laddove nessuno ti chiede se sai fare qualcosa, e «stanno al gioco», mettendosi in vetrine e vetrinette, senza però mai contraddire il conformismo di gruppo o del capo. E la politica muore. Nella politica italiana, oggi, intravediamo qualche potenziale protagonista che non sprizza da ogni poro pensiero mediano e smania di arrivare.

Come il primo ministro Gentiloni o Stefano Parisi; certo ce ne sono anche altri – pochi – in panchina. Modelli di ruolo diversi da quelli imperanti che forse potrebbero indicare una strada per uscire dalla nostra, perdente, politica «mediocratica» e narcisa.