La latitanza di Matteo

L’impuntatura dei 5 Stelle che ha bloccato la proposta di legge elettorale alla tedesca sia le connesse elezioni anticipate ha evitato che queste comunali si svolgessero in una surriscaldata vigilia politica. Probabilmente ne ha risentito la partecipazione risultata così scadente da fare del non voto il vero protagonista di questa tornata. A pagarne le spese sono stati soprattutto i grillini. Meno radicati nei territori, inetti per metodo e per vocazione a scegliere candidati di peso, dotati cioè di personalità e autorevolezza, i grillini o sono spinti da un forte vento di protesta o si afflosciano. Poi, quasi senza candidati al secondo turno, i loro elettori hanno disertato le urne. Ma anche la latitanza di Renzi dalla campagna elettorale ha fatto impressione. Tanto più di fronte all’attivismo di Salvini e di un Berlusconi tornato decisamente tonico, e i risultati si vedono. Ma Renzi perché è scomparso? Timore di intestarsi una sconfitta annunciata? Non sarebbe la prima volta. Anche nelle amministrative del 2016 scomparve. Fu un errore, ma allora Renzi era presidente del consiglio e aveva in testa solo il referendum. Oggi, dopo la batosta del 4 dicembre, è “solo” segretario del PD e la sua missione politica e personale dovrebbe essere quella di darsi anima e corpo a guidare, animare, sostenere il suo partito e i suoi candidati in ogni appuntamento, in ogni confronto, piccolo o grande che sia. E’ probabile che anche gettandosi nella mischia Renzi non sarebbe riuscito a invertire la tendenza negativa e che le uniche vittorie sarebbero state ascritte non a suo merito ma alla resurrezione dell’Ulivo. Ma cosa devono pensare i democratici di un leader che in tre anni ha bruciato un patrimonio di credibilità e che, se arriva la tempesta o se la rotta non gli piace, abbandona il timone ma vuol comandare?