Giovedì 25 Aprile 2024

L'Euro secondo Weidmann

di BRUNO VESPA

JENS Weidmann è un signore alto e simpatico che dirige la Bundesbank, la banca centrale più importante d’Europa, dal 2011 quando aveva appena 43 anni. Mi ha ricevuto la mattina di lunedì 6 luglio nel suo luminoso ufficio di Francoforte, mentre le cancellerie europee erano nel panico per il No greco all’accordo con gli altri partner dell’euro e le borse continentali perdevano centinaia di milioni. 

WEIDMANN mi ha detto che nel pomeriggio avrebbe avuto una conference call con Mario Draghi e gli altri colleghi governatori, ma non tradiva alcuna tensione, né sembrava ansioso di prepararvisi. Il nostro colloquio, per il quale era prevista mezz’ora, è durato oltre un’ora senza che mai fossimo interrotti dallo squillo di un telefono. E alla fine Weidmann mi ha accompagnato a visitare la bella collezione di arte contemporanea della banca. La conversazione ha toccato tutti i temi sensibili: dalla Grecia alla tenuta dell’euro nell’Unione, dalla politica tedesca a quella italiana, dall’austerity alle riforme, dalla politica all’antipolitica. Ma era una conversazione informale e non sarebbe corretto trascrivere quanto mi ha detto.

POSSO tuttavia riferire alcune impressioni di fondo, partendo dalla premessa che tutto quanto mi ha detto Weidmann sulla reazione europea al No di Atene si è puntualmente verificato nei giorni successivi. Abitualmente il presidente della Bundesbank viene visto come il capo dei ‘falchi’, mentre Draghi è il portabandiera delle ‘colombe’. In realtà Weidmann riconosce che la decisione finale dovrà essere politica, ma non sembra tifare per l’uscita della Grecia dall’euro e al tempo stesso non è favorevole a dare altro denaro gratis ai greci. Sembra esattamente la posizione della Merkel. 

QUANDO il discorso si è spostato sull’Italia gli ho detto che per noi la crisi paradossalmente è cominciata nel 2002 quando un buon stipendio di due milioni di lire al mese si è trasformato dalla sera alla mattina nella miseria di mille euro. Il cambio è stato terribilmente sfavorevole per noi e la speculazione sui prezzi (1 euro = 1.000 lire) ha fatto il resto. 

IN UNA situazione traballante, i sette anni della crisi vera e propria ci hanno dato la mazzata finale. Il nostro maledetto debito pubblico è il pretesto per giustificare tutte le disparità di trattamento, come quando ho ricordato che nel 2003 – con il parere contrario del presidente europeo Prodi e quello favorevole del ministro Tremonti – fu consentito a Francia e Germania di sfondare il tetto del 3%, cosa che la Francia continua a fare allegramente senza che nessuno alzi il sopracciglio. E a proposito di austerity ho chiesto se non ci sia qualcosa di sbagliato, visto che dal terribile 2011 la disoccupazione in Italia è cresciuta di oltre tre punti e il debito pubblico è aumentato, mentre la paura del futuro frena la spesa privata. È stato a questo punto, cioè dopo quaranta minuti di dialogo serrato, che con molto garbo il capo della comunicazione della Bundesbank, fino a quel momento completamente silenzioso, ha avanzato qualche dubbio sul fatto che noi l’austerity l’avessimo subita sul serio. 

HO FATTO presente: 1. La riforma delle pensioni andava fatta ma moltissima gente si è vista cambiare la vita dalla sera alla mattina con lo spostamento in avanti anche di cinque anni del congedo, per non parlare della strage degli esodati. 2. Le imposte sulla casa dal 2011 sono triplicate, distruggendo il mercato immobiliare e l’industria edilizia. 3. Solo adesso con il Jobs act si muove qualcosa dopo che per anni la crisi ha decimato i posti di lavoro. 4. Blocco degli stipendi, contributi di solidarietà e altissimo peso fiscale hanno distrutto la classe media. 

WEIDMANN era molto interessato a conoscere l’andamento delle riforme (il nuovo sistema quasi monocamerale è seguito con molto interesse in Germania) e ha voluto capire alcuni dettagli della riforma della scuola. È stato ovviamente molto rispettoso sulla politica italiana, ma ho dovuto dirgli che la gestione della crisi da parte della coppia Merkel-Hollande ha prodotto una grande frustrazione nel nostro presidente del Consiglio e in genere negli italiani.

CERTO, ci sono gli storici rapporti franco tedeschi. Certo, la Spagna potrebbe muovere qualche obiezione per un tavolo a tre. Ma noi stiamo facendo i compiti a casa meglio dei francesi, abbiamo un’economia molto più solida di quella spagnola e siamo stati tra i sei fondatori dell’Europa post bellica. Di quell’Europa non resta più niente. Se non danno retta a Renzi come non la davano a Berlusconi, vuol dire che l’Italia non conta niente. Questo è un problema.

NON È VERO che la maggioranza degli italiani ha gioito per il No greco come qualcuno pensava anche a Francoforte. Ma un’Europa con la sola Merkel al volante e Hollande che le tiene compagnia può far esplodere tutto l’anti europeismo che nuota in apnea dal 2002. Francoforte, come Berlino, ci chiede di accelerare sulle riforme. Ma forse anche lì devono fare qualche compito a casa per evitare che crolli irreparabilmente la creatura di Adenauer, De Gasperi e Schumann.