Giovedì 18 Aprile 2024

Faccio l’amore, non è atto impuro Perché proibire quel che è naturale?

Comandamenti da non rispettare, senza sentirsi peccatori

Ary Scheffer, "Paolo e Francesca" (1835)

Ary Scheffer, "Paolo e Francesca" (1835)

Roma, 12 aprile 2015 - Mi si chiede di esprimere la mia posizione su due dei comandamenti che, senza mistero, io non ho mai rispettato, pur non sentendomi in peccato. E non mi riferisco alla posizione di un credente rispetto ai principi morali cui è chiamato, ma alla straordinaria forza, vorrei dire costituente, dei comandamenti per ciò che riguarda la posizione degli uomini, non davanti a Dio, ma davanti a se stessi.

I comandamenti ci indicano comportamenti che valgono per il dovere di ogni uomo nella famiglia, nella società, nel rapporto con gli altri uomini. Come non condividere "onora il padre e la madre", "non rubare", "non uccidere", "non dire falsa testimonianza", "non desiderare la roba d’altri"?

E fin qui i comandamenti servono a guidare gli uomini nella giusta direzione. Sono dieci, giudiziosi e ragionevoli, anche quando suggeriscono, opportunamente, di "non nominare il nome di Dio invano".

In fondo, la stessa sollecitazione del filosofo Ludwig Wittgenstein, spesso ricordata in senso antimetafisico: "Di ciò di cui non sappiamo niente non possiamo parlare".

Eppure due comandamenti sembrano contraddire il buon senso degli stessi sensi nel loro naturale esercizio: "non fornicare", anche espresso come "non commettere atti impuri", e "non desiderare la donna d’altri".

Io, in verità, che non ho mai ucciso, non ho mai fatto altro. Fornicare no, dal momento che mi è incerto il significato, oltre l’uso. Mai sentito nessuno dire: "Oggi vado a fornicare", ovvero "ti fornico", o anche "fornicami". Attivo, passivo. Transitivo, intransitivo. Chissà. Mai fornicato e mai stato fornicato.

Quanto al rincalzo, perché della stessa materia si tratta, non vedo alternativa al desiderare la donna d’altri, dal momento che ognuno la propria ce l’ha già. E generalmente si desidera quello che non si ha. Anzi, la propria nessuno la desidera. E desidera invece quella dell’altro o dell’amico.

Un comandamento, dunque, malizioso. E anche minaccioso, se è vero che si parla di desiderio e non di atto. Così si spiega la lucida osservazione del vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, che un giorno mi disse: "In verità, Sgarbi, tra il pensarlo e il farlo, non c’è nessuna differenza. Quindi, lo faccia". Sapienza dei prelati.

Quanto alla donna d’altri, il comandamento, come sempre, tende a garantire dalla violenza e dalla prepotenza, esattamente come non rubare e non uccidere. In questo caso la parte lesa potrebbe essere il marito della donna desiderata. E si vorrebbe salvaguardare dalla mortificazione, dalla umiliazione. In una parola: dalle corna. E qui si apre il ricordo di una vicenda personale: il mio incontro, nel 2002, con l’allora vescovo di Caltanissetta, che andai a trovare per visitare il Museo Diocesano. Le conseguenze furono catastrofiche. E l’attuale vescovo se ne ricordò quando cercò in tutti i modi di non farmi attribuire la più importante onorificenza della città: la “Real Maestranza”, che è consegnata in Chiesa dal vescovo.

Si era infatti diffusa la voce del mio precedente scambio di idee con il vescovo emerito proprio sulla questione dei due comandamenti in esame. Fui io allora a chiedergli, tra ironia, curiosità e strafottenza, perché la religione cristiana fosse così severa sul sesso e sul piacere dei sensi, da dedicarvi addirittura due comandamenti. E ricordo quante volte, in collegio, a 12 anni, io mi andavo a confessare ammettendo come peccati solo gli "atti impuri", proprio da adolescente che avverte il senso di colpa della sua esordiente sessualità.

Perché tanta insistenza e ostinazione nel proibire ciò che è naturale? Quale danno, e a chi, nella masturbazione (ovvero gli "atti impuri")? Di più: perché "non fornicare"? E perché "non desiderare"? A parte ciò che non può essere detto "di altri", perché nessuna donna è proprietà di un uomo, anche se lo ama.

Immaginiamo allora, dissi al vescovo, un uomo e una donna sull’argine di un fiume, in una serata d’estate. Lui la bacia, lei lo bacia; lui l’abbraccia, lei lo abbraccia; lui l’accarezza, lei lo accarezza; presi dal desiderio, i due si stringono e fanno l’amore. In quel momento nessuno vede e nessuno soffre. E però può esistere la rottura di un patto di fedeltà, talvolta, non sempre, col dolore del marito. Ma se i due sono completamente liberi, non hanno marito o moglie, e si abbracciano dandosi volontario e reciproco piacere, lui è contento, lei è contenta, dov’è il peccato?

Il vescovo iniziò a vacillare. E mi rispose: "Ma Sgarbi, lei non capisce?". "Cosa?", reagii. "Ma lei non capisce che, vedendo quell’atto, Dio soffre? Ecco il peccato". Lo guardai e soggiunsi: "Dio come un voyeur? In queste condizioni, senza parti lese, il peccato sarebbe non farlo! E, ammesso che Dio se ne preoccupi, forse vorrebbe essere al mio posto!".

Il vescovo insistette: "Dio soffre". E io: "Ma mi faccia il piacere! Dobbiamo immaginare Dio su una nuvoletta, che, non avendo nulla o meglio da fare, guarda proprio me che sto amoreggiando sull’argine del fiume? Con tutte le tragedie, gli tsunami, i terremoti, le catasrofi nucleari, malattie, i bambini uccisi, le stragi, le distruzioni di monumenti, le guerre, la violenza, possiamo veramente pensare che Dio abbia tempo di vedere con chi faccio all’amore? Di preoccuparsi per un’azione che non fa male a nessuno? Nessun comandamento può prescrivere qualcosa che non riguardi l’eventuale danno di un uomo all’altro, in nome dell’umanità e in nome di Dio".

Il vescovo rifletté a lungo. Di fronte a questi semplici argomenti forse pensò che aveva sbagliato tutta la vita. Che si era astenuto, risparmiato, trattenuto, senza ragione. Non risulta che, in compenso, i prelati rinunciano all’esaltazione di altri sensi e ad altri piaceri: non tittillino, per esempio, la gola, mangiando e bevendo.

Non è peccato abbuffarsi, mangiare smodatamente; ed è invece peccato fare all’amore? Il desiderio del cibo, magari d’altri, è più naturale del desiderio del piacere erotico? E perché? Davanti a questi quesiti il vescovo sembrò esitare. La settimana dopo morì. Io continuo a non sentirmi, rispetto a questi due comandamenti, peccatore.