Cocoricò chiuso, baristi, buttafuori e cassieri: «Qui siamo in duecento, resteremo senza lavoro»

La discoteca perderà in quattro mesi 1,5 milioni di euro d'incasso. Il sindacato ricorrerà al Tar

La polizia ieri mattina davanti al Cocoricò dopo la notifica della chiusura

La polizia ieri mattina davanti al Cocoricò dopo la notifica della chiusura

Rimini, 3 agosto 2015 - Una batosta. Di quelle che mandano al tappeto. E da cui ci si rialza a fatica. Lo stop di quattro mesi imposto dal questore di Rimini potrebbe seriamente rivelarsi un colpo mortale per la società che gestisce il Cocoricò. Un colpo da cui, ad ogni modo, non sarà facile riprendersi. Fabrizio De Meis, nel rassegnare le dimissioni da general manager della discoteca numero uno in Italia, lo aveva detto: «nel caso di un provvedimento eccessivamente prolungato, questa azienda corre il rischio di non avere più un futuro». Di certo c’è che l’ordinanza di chiusura cade proprio nel periodo forse più redditizio per il locale delle colline riccionesi, che soprattutto in agosto diventa meta di pellegrinaggio per migliaia di giovani.

Undici le serate che il ‘Cocco’ avrebbe dovuto ospitare da qui al 12 settembre prossimo (confermati, invece, gli eventi infrasettimanali negli altri locali): undici serate da pienone assicurato, con dj internazionali (tra cui i Crookers e Skrillex) che da mesi hanno già incassato gli anticipi. Il danno economico è difficile da quantificare, ma negli ambienti vicini alla piramide si parla di una ‘mazzata’ che complessivamente potrebbe aggirarsi attorno a 1 milione e 500mila euro, tra mancati incassi e ripercussioni in termini di immagine. Senza tener conto dell’effetto domino destinato a ripercuotersi su tutte le azienda che orbitano attorno al Cocoricò: fornitori, tipografi, esperti di impiantistica, campeggi e via di seguito.

E poi ci sono loro, i dipendenti. Un esercito di quasi 200 persone (spesso con famiglie al seguito) che, a vario titolo, lavorano per la discoteca più famosa d’Italia: baristi, buttafuori, tecnici del suono, cassieri, camerieri, per non parlare delle decine di ‘pierre’ che ogni weekend intercettano i clienti in arrivo negli alberghi o in stazione. Una vera e propria azienda, forse una delle più grosse presenti a Riccione, che si fonda soprattutto sulla forza lavoro di decine di giovani. «Per me è un bel guaio, non lo nascondo – attacca un ragazzo che durante il weekend fa il barista per il locale –. Mediamente ogni mese riesco a portare a casa circa 600 euro. Non sarà una gran somma, e di certo non mi basta per campare, ma almeno in questo modo riuscivo a mettere un po’ di soldi da parte e ogni tanto li usavo anche per pagare la retta dell’università. Tra di noi ci sono moltissimi stagionali che ogni estate vengono quassù dalle regioni del Sud Italia: senza questo lavoro, non avranno più soldi per pagare l’affitto e saranno costretti a tornare a casa».

Il malumore serpeggia anche tra i buttafuori. «Cosa vuole che dica? Sì, siamo tutti molto preoccupati. Alcuni di noi fanno anche altri mestieri, ma per qualcun altro il servizio al Cocoricò costituiva una fonte di reddito importante. Adesso rischiano di non arrivare più a fine mese». «Per il locale è sicuramente una brutta tegola – commenta amareggiato un ‘pierre’ –. Ad agosto durante il weekend in piramide ci sono sempre dalle 4 alle 5mila persone. Fate un po’ voi i conti».