Venerdì 12 Aprile 2024

E se la Palma fosse cinese?

QUI VICINO, a mezz’ora di fuoribordo, speriamo come sempre nella coppa Ferrari, ma Vettel parte terzo e il copione è noto. Sulla Croisette, invece, la pole position è solida, e siamo in tre, né somari né briganti, anzi, è il trio Lescano del cinema italiano ormai, Sorrentino, Garrone e Moretti, “Garrettino”, un bel coro di autori di bandiera, abbracciati nell’ideale vignetta con la boccuccia in canto davanti al microfono internazionale della Palma. Ma ce la faremo? Intanto, anche per scaramanzia, diciamo che alla fine di questa kermesse la nostra Palma, il film migliore della competizione nel risultato artistico, è fuori area, e parliamo di una kermesse che, considerando l’insieme di bagni termali, gerontologie poetiche, madri in letto terminale e infermieri per l’eutanasia, parafrasando i fratelli boss-della-giuria Coen: «Non è un festival per giovani». Il direttore Fremaux ha tentato di iniettare in cartellone un paio di pimpanti cartoni animati e una commedia di Woody Allen, ma con quel Joaquin Phoenix depresso omicida è tra le più funeree del comico. A cui si deve però la miglior battuta di conferenza stampa, quando un giornalista pachistano gli ha chiesto se non avesse mai provato almeno una volta nella sua vita il desiderio di uccidere qualcuno: «Sì, proprio in questo momento». Dunque, la nostra Palma d’oro è...

Un momento. Compreso il trio, è stato un festival di buon livello, con cadute vistose, purtroppo proprio in casa dei prestigiosi ospiti (dal film di apertura “La tete haute” della Bercot al “Marguerite & Julien” della Donzelli alla “Valley of love” di Nicloux, un bel disastrino), rinfrancati per fortuna dai film di Brizé e Audiard. Nel brand “estroso&concettuale” il greco “The Lobster” ha colpito. Nel ritorno al passato “Carol” è ammirevole. Implacabile la prima volta al cinema dei Sonderkommando nei forni crematori di “Il figlio di Saul”. Resta tra anima e psiche, con un sentimento intenso, il cinese “Mountains may depart” di Jia Zhang-ke. Ma la reinvenzione “cool”, per sottrazione, ritualità e realismo, di un genere da blockbuster, il “cappa e spada”, riuscita a Hou Hsiao-Hsien, ha il cosiddetto “valore aggiunto”. Dunque la nostra Palma va a “The assassin”.

MORTI, sangue, lame, eserciti, intrighi, la proverbiale foresta in fiamme che avanza, un apparato scenografico e drammatico fin troppo “come si deve”, fanno tragedia regale nel “Macbeth” secondo l’australiano Justin Kurzel, ultimo in concorso, speciale forse per chi ha dimenticato le versioni di Welles, Godard e Kurosawa. E meno male, a fine festival un po’ di ottimismo...