Cannes, Audiard racconta l'odissea dei migranti dallo Sri Lanka alla banlieue

Al centro del film Dheepan, presentato in Concorso, vi è uno strano trio proveniente dallo Sri Lanka: un ex combattente delle tigri Tamil, una giovane donna e un’adolescente di nove anni. Riescono a fuggire e a ottenere asilo in Francia, dove a fatica riusciranno a sopravvivere

Il regista Jacques Audiard, Claudine Vinasithamby and Kalieaswari Srinivasan

Il regista Jacques Audiard, Claudine Vinasithamby and Kalieaswari Srinivasan

Cannes, 21 maggio 2015 - Tra le qualità di Jacques Audiard cineasta neopopolare, spesso sottostimato a causa di una (presunta) mancanza di gusto cinefilico, c’è quella di raccontare destini ordinari in contesti d’eccezione (personaggi affetti da sordità, corpi mutilati etc.). Compito più facile quando si ha disposizione grandi interpreti (una per tutte Marion Cotillard), più difficile quando gli attori sono indiani, sia pure con qualche esperienza occidentale.

Al centro di Dheepan, presentato stamani in Concorso, vi è uno strano trio proveniente dallo Sri Lanka: un ex combattente delle tigri Tamil (minoranza indù rispetto alla maggioranza buddista) una giovane donna e un’adolescente di nove anni. Sebbene siano reciprocamente estranei avendo perso tutti i parenti nella guerra fratricida, nell’apparenza formano una famiglia. Ed è grazie alla plausibilità familiare che riescono a fuggire e a ottenere asilo in Francia.

Sperduto e impaurito, il trio trova sistemazione nella estrema banlieue parigina in cui, a parte la scuola pubblica, ultimo baluardo statale, tutto è in mano a gang, in sanguinosa lotta tra loro. Questi gruppi interraziali dominano il territorio: assegnano appartamenti e lavori, decidono compensi e orari. Se non è l’inferno della guerra lasciata alle spalle è un purgatorio dove per poter sopravvivere occorre guardarsi alle spalle e nascondere desideri e sentimenti. Per i tre srilankesi la Francia è un luogo sconosciuto e incomprensibile, destinato forse a essere la tappa di un viaggio interminabile.

Spazi chiusi e soffocanti che esaltano il cinema fisico di Audiard (Un profeta), dove a parlare sono i movimenti del corpo, i gesti, le esitazioni (toccante il bacio appena accennato della “madre” alla “figlia” che lo chiede nell’atto di entrare a scuola come omologazione sociale). La guerra a cui si è sfuggiti non è finita, continua con altri scenari nei cortili e nelle piazzole delle HLM (le case popolari francesi). Sopravvivere per i tre immigrati è una scommessa (anche se un improbabile happy end cerca di farlo dimenticare) che si vince giornalmente con l’esercizio della pubblica finzione, cui si aggiunge l’inganno familiare.

Cinema impetuoso, come sempre quello di Audiard, a tratti debordante. E ancora una volta l’azione vince sull’immagine. Per molti, fortunatamente, non è un problema.

Voto 8