Quei fatti che parlano

ANDREA CANGINI

SEMBRA passata un’era geologica da quando il neo premier Matteo Renzi annunciava «una riforma al giorno» e Repubblica scriveva che l’arrembante fiorentino aveva fatto le scarpe a Letta perché sapeva che di lì a poco l’economia si sarebbe ripresa. Ora, qualcuno potrà anche dire che è tutto solo un gufare da pessimisti, ma i fatti esistono, parlano e raccontano di un contesto a dir poco deteriorato. Un’Italia allo sfascio. Ecco i fatti, dunque. E ci limitiamo solo a quelli più recenti. 

AUMENTANO di giorno in giorno le tensioni sociali, Cgil e Uil proclamano lo sciopero generale, la dialettica tra sindacati e governo cresce di intensità. Nella nota di aggiornamento al Def, il ministro dell’Economia prevedeva con rara onestà una crescita del Pil dello 0,1% nel 2015: dopo l’intervento a gamba tesa della Commissione europea sulla nostra manovra finanziaria, andrà bene se ci attesteremo a quota zero. Come se non bastasse, per i primi mesi del prossimo anno si prevede un ulteriore peggioramento del quadro economico a livello europeo. E dell’Europa l’Italia resta l’anello debole. I capitali stranieri girano al largo, e quando varcano le Alpi non è per investire ma per acquisire.

PER LA PROPRIETÀ transitiva se A = B e B = C, anche A = C. Applicando la regola allo sciopero generale (spostato dal 5 dicembre al 12 dicembre), verrebbe da fare una considerazione ironica: Cgil e Uil scioperano contro il Jobs Act Poletti 2.0; il provvedimento raccoglie l’approvazione della sinistra del Pd che rivendica di aver svolto un ruolo determinante nell’emendarlo. Dunque, Cgil e Uil scioperano anche contro la sinistra del Pd. Del resto, venerdì scorso, alla manifestazione della Fiom di Milano il bersaglio prediletto degli strali del leader dei metalmeccanici non è stato il premier Matteo Renzi, ma quel pezzo della sinistra dem responsabile di aver negoziato con il governo. «Quella possibile mediazione trovata dal Pd sul Jobs Act è una presa in giro, serve solo ai parlamentari a mantenere il loro posto, non dà più diritti ai lavoratori». Questo il commento di Maurizio Landini all’accordo che una parte della minoranza Pd considera un proprio successo. Ma ha senso scioperare il 12 dicembre? E soprattutto ha un senso che la Uil si accodi acriticamente alla Cgil come se ci fosse da inaugurare, con uno sciopero generale, la nuova (si fa per dire, visto che l’interessato ha 67 anni) segreteria di Carmelo Barbagallo?

SINCERAMENTE, comprendiamo il ministro Giuliano Poletti quando, al Congresso della Uil, ha rinunciato a svolgere il proprio intervento. È inutile parlare a chi non vuole ascoltare. Sappiano comunque i lavoratori (i quali perderanno ore di retribuzione aderendo all’astensione dal lavoro) e l’opinione pubblica (che ne sopporterà i disagi) che scioperare il 12 dicembre non servirà a nulla. Il Jobs Act sarà approvato il 26 novembre dalla Camera da una maggioranza solida (grazie a un Pd ricompattato). Quel testo sarà varato senza modifiche dal Senato. Anche la legge di Stabilità, il 12 dicembre, avrà già ottenuto il via libera a Montecitorio. Forse il Senato vorrà apportare qualche modifica, ma si farà il possibile per evitarlo, perché la manovra dev’essere licenziata prima della fine dell’anno. Come potrebbero agire, allora,i sindacati? Dovrebbero riconoscere i passi avanti compiuti; intensificare i rapporti con le forze parlamentari più vicine e farsi trovare preparati ad affrontare i prossimi appuntamenti. Niente di tutto questo. Ai nostri eroi basta scioperare.